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Dott. Ferdinando Schiavo

Archivio Categoria: Progetti

La strage degli/delle innocenti – Riassunto del Progetto

Pubblicato su 29 Aprile 2020 di Ferdinando Schiavo

Ve lo avevo detto! A proposito di STRAGE DEGLI\DELLE INNOCENTI…

Tutto in parte prevedibile, ma così no! Stavolta appare enorme il peso dell’ignoranza (non sapere che “guarito” non significa esattamente “non contagioso”) e della scarsa considerazione delle Persone fragili, quasi sempre vecchie & vecchi, vittime predestinate dell’ageismo e non solamente delle leggi di madre natura.

Ho deciso di preparare un riassunto del mio Progetto, in piccola parte profetico, LA STRAGE DELLE INNOCENTI, la cui forma estesa si trova sempre in questo mio sito….

Nel 2013 ho proposto all’associazione Alzheimer Udine uno studio che avesse come obiettivo primario la stima del fenomeno “sottovalutazione della diagnosi di demenza” in strutture per anziani. Hanno risposto ai nostri numerosi inviti solamente un diurno ed una residenza per anziani. Dopo un incontro informativo coi familiari delle due strutture, hanno aderito al progetto 45 soggetti, che sono stati da me valutati attraverso la visione della documentazione clinica e in diversi casi mediante una nuova anamnesi più accurata, un esame clinico generale e neurologico ed infine una indagine cognitiva attraverso la somministrazione del test MMSE.

 

L’altra finalità dello studio era rivolta a stimolare una collaborazione con i vari professionisti delle strutture, compresi i medici di medicina generale (MMG) esterni oppure interni e gli stessi familiari.

I risultati dell’indagine sui 45 partecipanti in estrema sintesi hanno confermato la presenza di alterazioni cognitive in TUTTI i soggetti: 45\45 (di cui 4 MCI multiple domain: “leggero coinvolgimento cognitivo in vari ambiti”, quella zona grigia tra invecchiamento “normale” – chi lo conosce realmente? – e iniziali turbe cognitive che condurranno spesso e con tempistica variabile verso una demenza ) e che 27\45 (tra cui i 4 soggetti con MCI multiple domain) non erano state diagnosticate.

La cifra dei non diagnosticati è risultata, quindi, persino superiore a quelle fornite da altri lavori, tra cui un ampio studio precedente che fissava a circa il 50% la percentuale dei casi di demenze non diagnosticate nelle residenze per anziani (Connolly Amanda et al. Underdiagnosis of dementia in primary care: Variations in the observed prevalence and comparisons to the expected prevalence. Journal Aging & Mental Health. Volume 15, 2011 – Issue 8).

L’accurata indagine, svolta con la piena e indispensabile collaborazione del personale non medico delle due strutture, ha tuttavia evidenziato la presenza di numerosi soggetti con “malattie da farmaci”, ovvero manifestazioni peggiorative del loro personale stato di fragilità e di dipendenza funzionale, condizioni che si sarebbero potute evitare con una adeguata valutazione clinica svolta dai vari medici, in particolare nella residenza.

La ricerca ha rilevato anche comportamenti di seria omissione in campo diagnostico e terapeutico e a cui in qualche caso ho dovuto porre rimedio, anche “se non era scritto nel progetto”. Un esempio: su mia indicazione una ospite della residenza ha eseguito un emocromo urgente ed altri esami. E’ venuta alla luce una severa anemia verosimilmente provocata dall’assunzione di aspirina: la signora è stata prontamente e ripetutamente emotrasfusa, sottoposta alle indagini del caso e ai cambiamenti terapeutici necessari. Nella versione estesa troverete il resto!

Alla luce di quanto è emerso globalmente ho sentito il dovere di estendere le finalità del progetto ad una “visione di insieme” delle 45 Persone, estensione che nella realtà non poteva essere evitata, disattesa, almeno per il modo di lavorare. Malgrado la mia età e l’esperienza sul campo mi ero sbagliato nel pensare di riuscire a limitare il mio studio al solo riscontro o meno di disturbi cognitivi e di demenze!

Dai risultati obiettivi dell’indagine è nata la necessità di cambiarne persino il nome del progetto in LA STRAGE DELLE INNOCENTI.

Perché al femminile? Rispetto agli uomini, le donne hanno un miglior tasso di sopravvivenza ma sono esposte “biologicamente”:

– ad un livello di fragilità più esteso negli anni rispetto ai cinque “anni guadagnati”, motivo per cui popolano le residenze per anziani\e (o vivono spesso in solitudine a casa)

– ad un più elevato consumo di farmaci

– … a cui rispondono in maniera a volte differente

– … e soffrendo peraltro in maggior misura di eventi avversi legati proprio al loro uso.

Da questo lavoro pubblicato in esteso nel 2015 ma solamente in questo sito (www.ferdinandoschiavo.it) e su www.alzheimerudine, dalle evidenze emerse e dalla sensazione di un pericolo che grava sul futuro sono nati nel contempo alcuni miei progetti formativi, che troverete su questo sito. Eccone alcuni:

– Ciabatte rosse. La strage delle innocenti. Il male facile, le anziane e la violenza nascosta da farmaci e da omissione. Lo continuo a proporre prima dell’8 marzo e del 25 novembre, le date storiche in difesa delle donne, ma riceve poca attenzione a parte alcune provenienti da menti curiose, previdenti e lucide in Friuli e nelle Marche…

Accadrà qualcosa nelle teste e nel cuore dopo le stragi degli\delle innocenti da coronavirus 2020 nelle residenze per anziani?

 

– Progetto di De-formazione professionale in tema di De-menze e fragilità. A debita distanza dalla zavorra dei pregiudizi e dei luoghi comuni che persistono tra la gente comune, i professionisti non medici della salute, i medici e persino gli specialisti. Non ne posso più di sentire solamente “senile”, “Alzheimer”, “memoria”. Le demenze sono anche di tipo diverso, quella senile, poi, non esiste, e spesso sono complesse addirittura sin dall’esordio: basta pensare, ed è solamente uno degli esempi, alla stitichezza e alla perdita di odorato di Robin Williams (su questo sito)!

– Corso di Formazione per Farmacisti. Un sasso nello stagno dell’ipocrisia e del silenzio. I professionisti della salute “non medici” sono davvero impotenti davanti alle malattie da farmaci? Come costruire una sensibilità al problema delle “malattie evitabili da farmaci”? Un solo corso ECM a Udine nel 2014! Nessuna risposta alle mie proposte inviate a vari Ordini dei Farmacisti.

– Corso di formazione per Dottori in Scienze Infermieristiche. Sono davvero figure professionali impotenti e non responsabili davanti alle “malattie da farmaci” che incidono sulla fragilità generale e neurologica degli anziani? Nessuna risposta alle mie proposte inviate a Ordini e associazioni di Dottori in Scienze Infermieristiche. Recentemente la Cassazione ha condannato delle infermiere per avere somministrato una terapia incongrua data dal medico…

 

 

Questo sostanziale silenzio vuol significare che la malasanità nei confronti dei più vulnerabili  non è avvertita come prioritaria da parte di componenti essenziali del nostro mondo sanitario e sociale (a parte qualche rara encomiabile realtà), malgrado certe sbandierature mediatiche e pubblicitarie, ad esempio dei farmacisti sulla loro utilità professionale, o magari dei medici, dei “non medici” e dei politici riuniti a convegno per discutere di sigle con scarse ricadute pratiche sui deboli (LEA, ADI, CDCD, Territorio…).

Da parte dei “non medici” il tema delle “malattie da farmaci” e delle omissioni non è sentito come punto essenziale nel proprio lavoro, non avvertono il peso della personale RESPONSABILITA’: “non é certamente un mio compito consigliare i farmaci o gli esami da fare”!

 Che le cose vadano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando c’è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare! Giovanni Falcone

Siamo, a quanto pare, un popolo di eterni indignati. Ma l’indignazione non basta se non è accompagnata da un impegno e persino da una ribellione che deve però passare necessariamente e in modo prioritario attraverso il sacrificio dello studio, della conoscenza e della solida mediazione.

Buona lettura! Buon impegno!

Ferdinando Schiavo

Clicca qui per leggere il Progetto completo

Potete seguire il dott. Ferdinando Schiavo anche sulla sua pagina Facebook cliccando qui

Pubblicato in Progetti |

Progetto di De-Formazione sul tema delle De-Menze e dintorni

Pubblicato su 7 Luglio 2019 di Ferdinando Schiavo

01

Dr Ferdinando Schiavo, neurologo dei vecchi

www.ferdinandoschiavo.it

schiavo.libero@libero.it

FB professionale: dott. Ferdinando Schiavo


 Proposta di Progetto di de-formazione professionale in tema di fragilità, demenze e parkinsonismi


A fin di bene collettivo perché a debita distanza dalla distorsione e dalla zavorra dei pregiudizi e dei luoghi comuni che persistono tra la gente comune, i professionisti non medici della Salute, i medici (e persino gli specialisti neurologi, geriatri, psichiatri e internisti)

Breve lettera aperta ai miei colleghi di lavoro di ogni ordine e grado nel campo della Salute. Intendo, a scanso di equivoci, MMG, Medici di residenze per anziani, Farmacisti, IP, Psicologi, FKTerapisti, Logoterapisti, Animatori, Educatori e OSS


Mi giungono messaggi allarmanti che riguardano i medici e, direi meno spesso gli altri professionisti della Salute elencati sopra, circa l’utilità di partecipare ad un evento formativo sul tema dell’invecchiamento della popolazione, della fragilità, delle “malattie da farmaci” e del campo complesso delle demenze e parkinsonismi.

Mi trovo fondamentamente d’accordo con coloro che, dopo attenta lettura dei contenuti di questo Decalogo del De-Formatore, riconosceranno in maniera onesta che quanto è esposto qui di seguito è già patrimonio proprio ben acquisito e pertanto sperimentato ed applicato nel lavoro. Per loro sarebbe, sì, un evento inutile.

Invito invece gli altri, “quelli che non hanno tempo di leggerlo o che ritengono di sapere già tutto su questi temi emergenti” (sono tra le risposte che ottengono amaramente certe appassionate organizzatrici o gli stupiti organizzatori di eventi su tali argomenti!) ad una ancora più attenta e critica lettura e successivamente ad una umile ed intelligente scelta.

Scrive Tom Nichols in LA CONOSCENZA E I SUOI NEMICI a pag. 26 “… invece, ormai viviamo in una società dove l’acquisizione di un sapere anche minimo è il punto di arrivo dell’istruzione, anziché l’inizio. E questa è una cosa pericolosa”.

L’autore cita anche (pag. 65) l’effetto Dunning-Kruger, dal nome dei due ricercatori della Cornell University che l’hanno descritto nel 1999, l’insidioso fenomeno che condanna chi è incompetente a non accorgersi della propria incompetenza: “… più si è incompetenti e più si è convinti di non esserlo…”

Mi ha molto inquietato in questi anni recenti l’assenza dei medici dell’organico di residenze per anziani agli eventi informativi organizzati nel loro stesso luogo di lavoro o comunque in posti vicini. Credo e temo, per esperienza, che per loro “le cose che non si sanno non esistono” e per tale motivo li torno ad invitare a leggere con umiltà e attenzione queste pagine.

In qualche caso il disinteresse dei medici di una struttura residenziale per anziani o dei MMG afferenti del territorio ha persino determinato la mancata organizzazione dell’evento fortemente voluto dalle altre figure professionali “che desideravano sapere”…

Decalogo del De-Formatore

Ho riflettuto a lungo: in definitiva non mi sento un formatore ma un de-formatore visto quel che vedo in giro da tempo e i motivi per cui devo lottare quasi tutti i giorni con coloro i quali credono che:

  1. … tutti i vecchi siano obbligati a diventare dementi o comunque, se vanno incontro a qualche deficit di memoria o altro, tutto ciò sia normale.

In questo specifico caso, li accuso pubblicamente di “razzismo dell’età” ovvero di praticare l’AGEISMO, il “tanto è vecchio” che giustifica tutto e spesso la scelta del non fare nulla, ad es. per  giungere alla diagnosi di demenza, poiché per loro è normale essere dementi “ad una certa età” (quale?). Un pregiudizio pesante da tollerare.

  1. … tutte le demenze siano senili o, bene che vada, “di Alzheimer o vascolari”.

La demenza senile non esiste, tanto per cominciare! A meno che non emerga qualche certezza su questa “nuova” forma che si chiama LATE e che vede protagonista una sostanza conosciuta da qualche tempo per altre patologie degenerative, la TDP-43.

Alzheimer e altre demenze: ci sono cascati, pensate, persino i cosiddetti grandi specialisti ministeriali quando nel 2000 circa crearono in tutta Italia le UVA, Unità Valutative Alzheimer, come se non esistessero le “altre” demenze! Eppure già si sapeva delle demenze fronto-temporali e soprattutto della demenza a corpi di Lewy

  1. … tutte comincino con un disturbo di memoria.

Persino quella di Alzheimer può cominciare diversamente, immaginiamo le “altre”! Ecco due modi, tratti da Quando andiamo a casa? di Michele Farina, giornalista del Corriere della sera ed ideatore e organizzatore degli Alzheimer Fest in giro per l’Italia.

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Ma non tutti lo sanno… I sintomi possono esordire in altri modi ancora, sia nell’Alzheimer che, in particolare, nelle altre forme di demenza! E il livello di preparazione per far fronte a queste infinite variabili? Un parkinsonismo può essere presente nel corso di un quadro di demenza così come una malattia di Parkinson e alcuni parkinsonismi possono complicarsi con demenza. A tale scopo, potete leggere sul mio sito la vicenda di Robin Williams, malato… a sua insaputa.

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  1. … quasi tutte vengano “misurate” adeguatamente dal fallace test MMSE (Mini Mental). Il Mini Mental invece mente… spesso.

Infatti, si può essere dementi di grado serio anche raggiungendo il punteggio di 29\30, cioè sbagliando solo un item: basta fare tremende cavolate ad esempio alla copia dei due pentagoni e poi magari replicarle al test dell’orologio…

Questo mancato riconoscimento che ricaduta avrà sulla famiglia? Giustamente il familiare non arriverà a capire perché, fluttuando cognitivamente (le fluttuazioni cognitive, comportamentali e persino della vigilanza sono frequenti, soprattutto nelle LBD), quel congiunto malato in certi momenti si perda per strada e non sappia vestirsi o non riconosca il water rispetto al bidet…

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Inoltre, in casi del genere, esiste una difficoltà per la famiglia nell’ottenimento di alcune tutele legate al corretto riconoscimento di invalidità e sotto il profilo legale (testamento, decisioni varie…), anche perché lo stadio demenziale viene “misurato” pure con la CDR (Clinical Dementia Rating Scale). Ma come può “misurarle” bene chiamando stadio MODERATO (CDR 2) una fase in cui enuncia: perdita di memoria severa, materiale nuovo perso rapidamente; difficoltà severa nell’esecuzione di problemi complessi, giudizio sociale compromesso; richiede molta assistenza per cura personale…. Come si intuisce, l’aggettivo moderato in una scala universalmente accettata, può essere invece degno di contestazione perché fonte di errori nel giudizio clinico e prognostico e di conseguenza a livello di tutele legali e amministrative: concessione di invalidità, assegno di accompagnamento, 104.

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5…. un paziente apatico sia un depresso. Se ne accorgeranno quando peggiorerà se trattato con antidepressivi! E una persona anziana con psicosi sia solamente affetta da una psicosi tardiva e non, magari, da una demenza (visto che non tutti i medici eseguono i test cognitivi brevi)

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6…. ogni caso di aggressività o, peggio, di wandering, di affaccendamento, di misconoscimento della propria abitazione o del marito ecc. vada affrontato SEMPRE con psicofarmaci e non con strategie NON farmacologiche da insegnare e fare apprendere ai familiari e agli altri professionisti della salute…

7…. per contrastare i disturbi comportamentali usano in primis gli psicofarmaci – di varie tipologie – iniziando da una dose magari alta, per poi magari aumentarla anche se la persona malata peggiora, invece di iniziare da dosi basse e poi valutare secondo la SCHEDINA SCHIAVO, che dice:

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E se proprio dobbiamo usarli, cominciamo con una dose bassa… E così vedremo:

1 = va peggio: non aumentare! Come in un labirinto, bisogna tornare indietro e provare altro, col pudore del buon senso.

X=resta uguale: si può provare la dose superiore.

2= migliora: ci è andata bene! Continuare con la dose minima efficace e non per sempre! Questo perché “le cose cambiano” nel corso di un quadro di demenza: le allucinazioni comparse a giugno possono scomparire a novembre la terapia o spontaneamente (e in modo paradossale) con l’evoluzione della malattia!

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8… non sanno cosa sia la temibile e incompresa ACATISIA da farmaci e colpevolmente aumentano le dosi dei farmaci incriminati creando un terrificante circolo vizioso!

Leggere su  www.ferdinandoschiavo.it e altrove!

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9… continuano a dare gli inibitori delle colinesterasi (I-ChE) e\o la Memantina anche nei pazienti che “non rispondono”, ovvero non traggono alcun vantaggio. E magari non li sospendono neanche davanti a una complicazione favorita dal loro uso, come una sincope o una crisi epilettica.

10… consigliano due (o anche tre!) farmaci da iniziare contemporaneamente, ad esempio un I-Che (Donepezil o Rivastigmina) e un antipsicotico atipico (Quetiapina-Seroquel, la più amata dagli italiani!).

Se il paziente sviene o peggiora o comunque non tollera uno dei due farmaci, come si farà a scoprire quale dei due è il responsabile? Nel water ambedue, allora! Suggerimento di buon senso clinico: iniziare con uno e far partire il secondo dopo qualche giorno…

Un decalogo in effetti non basta

  • Primo supplemento al punto 10: quando ti trovi davanti a una persona con demenza che assume tre o quattro psicofarmaci, è confusa, rallentata, spesso freneticamente acatisica, e i familiari ti chiedono delle risposte, io rispondo invece con delle domande: “ma come cavolo avete fatto ad arrivare a 3, 4 psicofarmaci? Come mai, se il primo non “funzionava” (o peggio, creava effetti paradossi ecc.) non è stato sospeso? E così il secondo e poi gli altri?”

Proposta: se con calma li riduciamo uno alla volta fino alla possibile sospensione e la persona malata resta così (tenendo conto che qualche volta migliora vistosamente!) vi va bene? Ovvero: se torna uguale a prima ma senza gli psicofarmaci è già un dato positivo, che può comportare un tentativo NON farmacologico oppure uno con un singolo psicofarmaco, da valutare secondo Schedina Schiavo.

  • Secondo supplemento al punto 10: chiediti SEMPRE se quella persona malata “è così per evoluzione naturale della malattia o perché assume farmaci inappropriati o per altri motivi”? La lettura del caso 29 di Malati per forza e di altri casi ti farà capire meglio. La puoi trovare anche sul mio sito: è la storia della “mummificata”. Nel corso dei suoi quasi 5 anni di patimenti, è stata visitata da diversi specialisti del triveneto, nessuno dei quali si è posto la domanda che ho riportato poche righe fa. La protagonista e i suoi familiari non hanno sporto denuncia…

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  • Terzo supplemento al punto 10: chiediti, se valuti una persona con sintomi parkinsoniani, se è veramente malattia di Parkinson o si tratta di un Parkinsonismo: nel primo caso migliora sotto il profilo motorio con l’assunzione dei dopaminergici (dai tanti nomi), nel secondo in genere no, a parte in qualche caso una iniziale debole e transitoria risposta motoria.

Ragionamento di buon senso condito con scienza: se non migliora sul piano motorio e per giunta soffre degli eventi avversi di questi farmaci (allucinazioni ed altro), è corretto continuare? Traetene le conclusioni!

Ne ho scritto in un capitoletto a pagina 129 di Malati per forza: Quando la malattia di Parkinson si rivela essere o diventa “altro”.

  • Quarto supplemento al punto 10: gli anticolinergici. Se una persona anziana con o senza sintomi parkinsoniani di varia natura presenta alterazioni cognitive (e spesso NON a carico della memoria, per cui non vengono riconosciute!) e\o comportamentali (tipo psicosi e allucinazioni e magari nell’ambito di un quadro di demenza non riconosciuta in quanto non adeguatamente indagata) ed assume anticolinergici tipo Akineton, Tremaril, Kemadrin, Artane, Sormodren, Disipal … potreste chiamare i Carabinieri!

Queste molecole fanno parte del vasto campo dei farmaci ad azione anticolinergica (che significa anti-acetilcolina, noto neurotrasmettitore, e quindi ad azione anti-memoria ed altro ancora!) tra cui Buscopan ed altri antispastici viscerali che ben conosciamo, Laroxyl ed altri antidepressivi triciclici, Paroxetina, Codeina… in un orizzonte vasto che comprende circa 600 sostanze non tutte qui elencabili.

Tali farmaci possono far peggiorare un quadro di demenza preesistente oppure contribuire a favorire o provocare un Delirium, che è sostanzialmente uno stato confusionale che può portare persino alla morte e comunque ad un peggioramento della fragilità tale da limitare successivamente l’autosufficienza.

Il Delirium è purtroppo poco o mal conosciuto dai medici malgrado sia funestato da conseguenze serie e sia presente in circa il 20-25% dei ricoverati in ogni ospedale occidentale!

Alcune parziali riflessioni su un tema complesso in cui i farmaci non sono gli unici incriminati…

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Anche le cattive abitudini, il “si è fatto sempre così” che porta alla contenzione meccanica…

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  • Infine, quinto supplemento che si riallaccia al punto precedente e che sta alla base della medicina olistica, quella che guarda oltre i confini di un organo e di una malattia: molti medici non conoscono la COMPLESSITA’ determinata dalla fragilità e dalla cronicità, molto comuni nelle persone anziane, soprattutto se di genere femminile!

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Tale complessità incide notevolmente nella gestione di una persona anziana con demenza, in cui i “contorni”, ovvero le malattie (diabete, ipertensione, cardiopatie ecc.) e altri fattori (obesità, sedentarietà, solitudine, ecc.) vanno affrontati in modo olistico, prendendosi in cura dell’intera persona e non limitandosi al proprio orticello specialistico.

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Gli errori nel campo della prescrizione dei farmaci, trattandosi peraltro di persone che ne assumono diversi e per varie patologie, possono nascere per numerosi motivi tra cui l’inappropriatezza (cfr. anche il mio Malati per forza oppure il sito www.ferdinandoschiavo.it e www.perlungavita.it oppure i Criteri di Beers su JAGS 2015).

Tra questi errori si annida anche la scorretta RICONCILIAZIONE, una sorta di revisione periodica (e in particolare in occasione di trasferimenti da ospedale a casa o in altra struttura!) della terapia farmacologica. In questo compito la “medicina della fretta” non aiuta!

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Il Progetto è adatto a un percorso formativo svolto a debita distanza dai luoghi comuni e dai pregiudizi, adatta ai professionisti della sfera sociale e sanitaria di ogni livello e grado, dei comuni cittadini e degli alunni delle scuole superiori, di chi desidera impegnarsi contro il razzismo dell’età, ovvero l’ageismo, e la sottovalutazione delle emergenti malattie neurodegenerative con il loro corollario di incombenti “malattie da farmaci”.

Note suppletive dedicata ai professionisti “non-medici”

A proposito di quei professionisti della Salute che affermano: “I farmaci li ordina il medico ed è solo lui che può gestirli. Noi cosa c’entriamo?”

La responsabilità sui farmaci prescritti è sempre dei medici?

Infermiere – Dovere di vigilanza prescrizione farmaco

  1. Corte di Cassazione Penale – Infermiere – Dovere di vigilanza prescrizione farmaco – L’infermiere ha un preciso dovere di attendere all’attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico, occorrendo viceversa intenderne l’assolvimento secondo modalità coerenti a una forma di collaborazione con il personale medico orientata in termini critici e tanto non già al fine di sindacare l’operato del medico, bensì allo scopo di richiamarne l’attenzione sugli errori percepiti. (Sentenza n. 2192/15).

FATTO.  Con sentenza resa in data 6/11/2012, il giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Busto Arsizio ha pronunciato l’assoluzione di L.R. e di P.L. dall’imputazione relativa al reato di omicidio colposo, dagli stessi asseritamente commesso, in violazione della disciplina relativa all’esercizio della professione infermieristica, ai danni di Pa.Fe., in (OMISSIS).

Agli imputati era stata originariamente contestata la condotta colposa consistita nel cagionare il decesso del Pa., avvenuta a seguito della somministrazione allo stesso del farmaco Amplital, contenente amoxicillina, cui il Pa. era allergico.I n particolare, al L., in qualità di infermiere professionale caposala in servizio presso il reparto di urologia dell’ospedale di (OMISSIS), era stata originariamente contestata la condotta omissiva consistita, da un lato, nel mancato rilievo, per negligenza o imperizia, del contrasto tra la prescrizione medica dell’Amplital e l’allergia del paziente all’arnoxicillina e, dall’altro, nella mancata segnalazione di detto contrasto al personale medico.

DIRITTO: Sul punto, varrà osservare come, in considerazione della qualità e del corrispondente spessore contenutistico della relativa attività professionale, non possa non ravvisarsi l’esistenza, in capo all’infermiere, di un preciso dovere di attendere all’attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico (ossia misurato sul piano di un elementare adempimento di compiti meramente esecutivi), occorrendo viceversa intenderne l’assolvimento secondo modalità coerenti a una forma di collaborazione con il personale medico orientata in termini critici; e tanto, non già al fine di sindacare l’operato del medico (segnatamente sotto il profilo dell’efficacia terapeutica dei farmaci prescritti), bensì allo scopo di richiamarne l’attenzione sugli errori percepiti (o comunque percepibili), ovvero al fine di condividerne gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita rispetto all’ipotesi soggetta a esame; da tali premesse derivando il ricorso di puntuali obblighi giuridici di attivazione e di sollecitazione volta a volta specificamente e obiettivamente determinabili in relazione a ciascun caso concreto.

E’ appena il caso di rilevare, per altro verso, come del tutto correttamente la corte territoriale abbia impostato e risolto il tema della rilevanza causale delle colpevoli omissioni ascritte all’imputato (di là dall’elevata credibilità razionale del relativo rilievo condizionalistico ipotizzabile alla luce del ragionamento controfattuale), confermando l’esclusione di alcuna incidenza risolutiva del nesso di causa alle successive omissioni imputabili al personale infermieristico e medico succedutosi nella cura del paziente, avendo coerentemente richiamato la decisiva rilevanza sul punto rivestita dal consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di causalità, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento).

  1. Cassazione, medici e infermieri responsabili per i farmaci somministrati

La Suprema Corte ha condannato sia il personale infermieristico che medico a causa di un errore di s. di un farmaco antiblastico

Il compito di somministrare i farmaci negli ospedali spetta agli infermieri, che vi adempiono attenendosi alle prescrizioni fatte dai medici. La Corte di cassazione, con la sentenza numero 20270/2019, ha però precisato che la somministrazione del farmaco è un atto non meccanicistico ma collaborativo con il personale medico.

Ovvero l’infermiere, pur non potendo sindacare l’operato del medico, deve in ogni caso richiamare l’attenzione su degli errori che sia in grado di apprezzare ed esporre i suoi eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia. In pratica ha un ruolo di garanzia nella sfera della terapia farmacologica, limitato al confronto con il medico al quale è demandata la scelta della cura migliore per il paziente.

Tra i compiti dell’infermiere c’è la “segnalazione di ‘anomalie’ che sia in grado di riscontrare o di eventuali ‘incompatibilità’ fra farmaci o fra la patologia ed il farmaco da somministrare o fra particolari condizioni (per es. allergie annotate in cartella o a sua conoscenza) e la cura prevista”.

La vicenda

Nel caso in questione, all’infermiera imputata in giudizio era stato rimproverato di aver preparato una dose di un farmaco per un paziente, attenendosi alla prescrizione interna nonostante la chiara esorbitanza rispetto alla posologia contemplata nell’esperienza medico-scientifica e alle tecniche di somministrazione del farmaco.

La donna aveva agito senza preoccuparsi di sollecitare un medico strutturato affinché controllasse l’adeguatezza della posologia, nonostante i dubbi nutriti in proposito. Si era tuttavia confrontata con uno specializzando. Nel dettaglio l’’errata somministrazione di un farmaco antiblastico a una paziente affetta da linfoma di Hodgkin in chemioterapia ne aveva provocato la morte. Questo perché durante il ciclo terapeutico è stata somministrata, per errore di trascrittura sul foglio di prescrizione interna, una dose di 90 mg di farmaco antiblastico anziché 9 in base alla superficie corporea della paziente, già trattata in precedenza in modo analogo, ma con le giuste dosi, con successo.

I referenti degli infermieri

Per la Cassazione, occorre che il giudice del merito torni sul punto, verificando se, dai vari elementi raccolti in giudizio, possa essere ricavata una regola di condotta contenuta in norme procedurali note o conoscibili dall’agente modello, che preveda che l’infermiere, per sciogliere dei nodi relativi al dosaggio dei farmaci, debba confrontarsi solo con medici cc.dd. strutturati e non possa validamente interloquire con gli altri medici operanti nei reparti, come gli specializzandi, comunque dotati di relativa autonomia di intervento.

Per la Cassazione l’infermiere ha un ruolo di garanzia nella terapia farmacologica, limitato al confronto con il medico che invece deve scegliere la cura migliore per il paziente. Per cui è obbligo dell’infermiere la “segnalazione di anomalie che egli sia in grado di riscontrare o di eventuali incompatibilità fra farmaci o fra la patologia ed il farmaco da somministrare o fra particolari condizioni (per es. allergie annotate in cartella o a sua conoscenza) e la cura prevista”.

Prima e dopo la vicenda erano intervenuti anche altri colleghi dei due professionisti, ma senza risolvere l’errore e, quindi, anch’essi imputabili secondo i giudici. Secondo la Cassazione, infatti, “l’evento letale era stato determinato da un gravissimo errore dell’anestesista, qualificato dalla Corte “rischio nuovo e drammaticamente incommensurabile”, rispetto a quello innescato dalla prima condotta”.

“Si tratta di un principio – si legge nella sentenza – ribadito anche di recente da questa Sezione, secondo cui, in tema di reati colposi omissivi impropri, l’effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare”.

“Il canone si estende certamente – prosegue la sentenza riportata da Quotidiano Sanità – al reato commissivo, qual è quello di specie, e che, tuttavia, in egual modo implica che l’esorbitanza del rischio sia tale da costituire ‘rischio nuovo'”. “Nell’ipotesi in esame – sottolinea la Cassazione – il rischio garantito da colui che compila la diaria della cartella clinica, indicando la dose del farmaco da somministrare, è quello relativo alla tutela del paziente da errori posologici che possano influenzare la salute e l’efficacia della cura.

Laddove successivamente, sulla base di quell’errore, intervenga da parte di medico che opera in un secondo momento, proprio l’errata somministrazione, non può ritenersi ‘non nuovo’ il rischio determinato dalla realizzazione dell’errore primario, che il primo agente era chiamato a evitare”. Secondo la sentenza quindi “non può ritenersi … che la condotta del medico specialista abbia interrotto la serie causale attivata proprio dalla condotta colposa del medico specializzando”.

E per quanto riguarda l’infermiera il discorso è analogo e la sentenza sottolinea che “vanno richiamate le medesime osservazioni”. Secondo la Cassazione “a questo punto, prima di affrontare le ulteriori questioni poste, relative alla sussistenza del reato continuato in concorso relativo e alla commisurazione concreta della pena debbono vagliarsi gli ulteriori motivi essendo stati già esaminati quelli di rito”. La Cassazione fa riferimento alla normativa che regola la professione di infermiere, sottolineando la “pluralità di disposizioni di natura legislativa e regolamentare che ne hanno profondamente mutato la natura disegnando l’autonomia operativa propria tipica della figura professionale”.

“La complessa normativa tratteggia dunque spiega la sentenza – una figura professionale che, per le competenze che le sono affidate, assume una specifica e autonoma posizione di garanzia nei confronti del paziente nella salvaguardia della salute, della cura e dell’assistenza, il cui limite è l’atto medico”.

In questo ambito secondo la Cassazione l’atto di somministrazione del farmaco è concepito, secondo la giurisprudenza di legittimità come atto “non meccanicistico ma collaborativo con il personale medico orientato in termini critici, al fine non di sindacare l’operato del medico bensì per richiamarne l’attenzione su errori percepiti ovvero per condividere gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita”. Secondo la sentenza “è chiaro tuttavia, che la prescrizione dei farmaci resta al di fuori delle competenze infermieristiche e che il ruolo di garanzia che compete all’infermiere nella ‘sfera’ della terapia farmacologica si limita al ‘confronto’ con il medico cui è demandata la scelta della cura”.

“E’ chiaro – concludono i giudici della Suprema Corte come si legge su Quotidiano Sanità – che l’elemento della disorganizzazione, della confusione dei compiti, della mancanza di un procedimento di controllo dell’opera degli specializzandi e in generale dei medici operanti nel reparto, ma ancor di più l’affidamento di compiti di ‘copiatura’ delle prescrizioni a meri studenti di medicina, ignari del significato delle indicazioni trascritte, l’assenza di controlli successivi destinati a elidere gli eventuali errori e, dunque, in generale la mancanza di una procedimentalizzazione effettiva, coinvolgente tutti gli attori intervenienti nella formulazione, nella comunicazione e nell’approntamento del farmaco da somministrare, sono condizioni incidenti sul grado di rimproverabilità della condotta, che non possono venire tout court ignorate nella determinazione della pena per il reato colposo”.

Quello che viene descritto dalla sentenza come un vero e proprio ‘sfascio organizzativo’, la cui entità portò, dopo l’ispezione, alla chiusura del reparto di oncologia, “deve riversarsi sul giudizio relativo alla sanzione penale irrogata per il reato colposo, essendo detto quadro quello in cui si maturarono la negligenza e l’imperizia dei medici coinvolti, certamente favorite dalla più generale negligenza connotante l’assenza di adeguamento dell’unità operativa agli standard di sicurezza necessari, ragione per la quale si giunse alla temporanea sospensione dell’attività”. Per la Cassazione la sentenza della Corte d’appello “riconosce che un simile stato di cose influenzò la commissione dei reati di falsità ideologica, il cui elemento soggettivo per la sua natura dolosa, prescinde dalle condizioni esterne, che possono al più oggettivamente agevolare la realizzazione del delitto, ma non considera, invece, che proprio la disorganizzazione grava in concreto sull’effettiva realizzazione della condotta colposa incidendo sulla divergenza fra la condotta tenuta e quella attesa”.

dott. Ferdinando Schiavo

 

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E’ insieme ferita e cicatrice. Chi sparisce per demenza sottovalutata o per sfortuna…

Pubblicato su 12 Giugno 2019 di Ferdinando Schiavo

È insieme ferita e cicatrice

Chi sparisce per demenza sottovalutata o per sfortuna…

Claudio Bonivento e Ferdinando Schiavo

Pubblicato su www.perlungavita.it maggio 2019 (link)

 01

Il 13 marzo 2017 nel quotidiano Il Piccolo di Trieste è comparso questo articolo di Giuseppe Palladini: Trovata morta a 7 mesi dalla scomparsa. Il corpo di Veronica Bencic individuato nei pressi di Re, in Piemonte. Da agosto si era persa ogni traccia dell’ottantatreenne.

Prima di allora, ma anche dopo e persino in questi giorni piovosi di maggio, le persone con problemi di demenza continuano a scomparire. Si perdono a volte in un drammatico istante di giustificabile assenza e disattenzione di chi è preposto alla loro cura e sopravvivenza, altre volte per una possibile e colpevole sottovalutazione da parte di medici sia nella diagnosi che nella esauriente e corretta informazione da fornire a chi sta vicino a queste persone.

A Udine, il 22 settembre 2018, al secondo FAR MIND, LA MENTE LONTANA organizzato da noi di www.demaison.it, abbiamo commentato alcuni pezzi significativi del film di Pupi Avati “Una sconfinata giovinezza” in un viaggio didattico ed emozionale che è partito dagli inizi subdoli e inquietanti della perdita delle parole, con i “come si dice, come si chiama”, e poi, passando per la diagnosi di demenza, ha percorso le dinamiche del nucleo familiare costituito da lui e lei senza figli ed esteso alla famiglia di lei,  ha attraversato la scelta di amore di un accudimento famigliare, seppur problematico per l’aggravamento e la comparsa dei disturbi del comportamento, fino a giungere al suo amaro epilogo, la scomparsa nel bosco del protagonista, una sparizione mediata dal suo passato traumatico di orfano dei genitori in età adolescenziale.

02

Gli SPARITI, forse meglio del termine “scomparsi” che ho usato fino a poco tempo fa, possono allontanarsi per vari motivi tra cui, appunto, la presenza di una demenza non diagnosticata o “non capita” dai medici oppure dagli stessi familiari e dagli amici. Capita spesso in questo territorio della mente, dominato e intralciato da numerosi luoghi comuni e pregiudizi: il primo di questi è costruito su un malefico preconcetto relativo alla terza e quarta età, l’AGEISMO, quel “tanto è vecchio” che tutto giustifica. Anche una mancata diagnosi. Il secondo è favorito dall’idea malsana di “sapere tutto sulle demenze” e che quindi “tutte siano senili”  o, bene che vada, tutte “Alzheimer” e che, comunque, abbiano come sintomi basilari l’abusato deficit di memoria per gli avvenimenti recenti. C’è tanto altro.

E di questo bisognerà discutere attraverso il nostro Progetto SPARITI (v. dopo), costruendo migliore professionalità sanitaria, fornendo informazione e sostegno ai familiari, allargando le conoscenze dei cittadini nei quartieri e nelle città amiche della demenza.

Appena sceso il sipario sulle ultime drammatiche scene del film, il mio amico Claudio ci ha emozionati tutti, costringendoci spontaneamente a rifugiarci nel più partecipe, rigoroso e commosso silenzio. Ci ha raccontato della mamma smarritasi in un bosco nell’agosto del 2016 mentre si trovava a Re in pellegrinaggio. Era andata a cogliere fiori di campo a pochi metri dell’albergo che ospitava lei e le altre persone, tra cui l’amica a cui era stata affidata e che, stremata dal caldo, era andata a riposare. Il suo corpo è stato trovato, appunto, a marzo del 2017. Claudio ci ha consegnato un pezzo della storia di sua mamma e della sua vita non proprio facile. Potete leggerlo tra poche righe.

Non abbiamo registrato filmati di questa straordinaria partecipazione di Claudio al nostro FAR MIND, delle sue private confessioni, del suo e del nostro coinvolgimento: meglio così! Senza che ci fossimo messi d’accordo prima sui contenuti, senza che io ed altri lo interrompessimo, nella piena disponibilità di tempo e di cuore, Claudio ci ha regalato un’onda continua di forti turbamenti raccontandoci la sua amara esperienza. Lo stupore commosso ce lo siamo tenuti dentro, senza uso di orpelli tecnici che questa epoca ipermediatica che tutto fotografa, tutto riprende e posta nel web sembra maleficamente imporci. Lo teniamo per noi, nello spazio della memoria delle emozioni sane.

Da Claudio

Ci sono film, libri, storie raccontate che risuonano nella nostra coscienza come se quell’esperienza l’avessimo vissuta di persona, storie che suscitano emozioni, sollecitano riflessioni, rievocano nella memoria ricordi. Quando poi quel racconto riflette un’esperienza realmente vissuta, il salto nel passato è inevitabile e il ricordo si fa vivo, presente.

Tutto questo è accaduto e mi accade ogni volta che vedo il film di Pupi Avati, “Una sconfinata giovinezza”.  Un film che racconta una storia che ricalca sotto moltissimi aspetti la vicenda della scomparsa di mia madre. Come nel film, anche intorno alla sua storia si rincorrono emozioni contrastanti, come rabbia e tenerezza, sconforto e speranza, ma alla fine di tutto rimane il grande interrogativo su che cosa sia la demenza, come riconoscerla in tempo, come affrontarla. Ogni volta che mi trovo  a raccontare la storia di mia madre,  si rinnova dentro di me un’emozione che riporta a galla il dolore di quell’esperienza. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma parlare di lei mi fa sentire vivo, mi dà serenità, perché il dolore che sento è cosa molto diversa dallo stato di sofferenza iniziale.

Perché se è vero che non possiamo evitare il dolore e che il dolore è una parte dell’esperienza della vita, la sofferenza nasce dalla resistenza a quel dolore, dall’incapacità di accettarlo. La sofferenza è la migliore compagna del senso di vuoto che si viene a creare quando una persona importante viene a mancare. E se l’esperienza della scomparsa di mia madre ha un senso, allora mi sento in obbligo di dare un senso, un significato a tutto questo, testimoniando e onorando la sua vita, perché – come disse qualcuno – ogni vita non raccontata è una vita destinata ad essere dimenticata.

Mi è stato chiesto di parlare di lei, e della sua vicenda e lo faccio prima di tutto per rendere onore alla sua persona e in secondo luogo alla sua memoria. Onorarla anche nel senso cristiano del termine, onorare la sua vita interrotta, per celebrare il valore che rappresenta, per farne un culto (dal verbo coltivare che significa cura, dedizione). La sua morte mi ha permesso di capire la sua vita, e in particolare le sofferenze che ha attraversato. E per spiegare la sua storia voglio partire dalla fine.

Mia madre è venuta ufficialmente a mancare nel marzo 2017…. dico ufficialmente perché mamma è scomparsa, sparita 7 mesi prima, a ferragosto. Sono stati 7 mesi interminabili, carichi di angoscia, appesi a qualsiasi notizia che potesse alimentare una speranza.

Mia madre viene da una famiglia di campagna, da un piccolo paese nel cuore dell’Istria. Ha vissuto con i genitori e i suoi sei fratelli sino all’età di sei anni. Erano gli anni della guerra, dopo di che, a causa della povertà, è stata mandata a vivere presso una zia. Mamma si chiamava Veronica ma nella nuova famiglia il suo nome non piaceva; perciò avevano deciso di chiamarla Maria perché il suo nome di battesimo sembrava poco umile, poco popolare; e così è stata chiamata per il resto della sua vita. Questo le ha causato in più di qualche occasione dei disagi – come dire – identitari, non sapendo bene con quale nome definirsi. A 17 anni è andata a servizio presso la famiglia dei miei nonni paterni a Capodistria e a 19 anni ha sposato mio padre, perché nella famiglia servivano braccia forti e a basso costo per il forno che la famiglia allora gestiva. 

Alla mia nascita, tranne nei momenti dell’allattamento, mia madre venne obbligata a cedere la sua funzione di accudimento a mia nonna e alle altre donne della famiglia, che se è vero che mi hanno coperto di un grandissimo affetto, hanno però impedito a mia madre di vivere la sua maternità in senso pieno e completo. Nella sua vita ha dovuto spesso ingoiare torti e umiliazioni, mascherando il dolore e manifestando una gioia coniugale talvolta poco veritiera, solo per rassicurare i famigliari.

È sempre stata devota alla Madonna, anche quando un tumore al cervello le portò via la figlia dell’età di 20 anni. Erano gli anni ‘80 e allora la medicina muoveva i primi passi in un campo così poco conosciuto come il glioma cerebrale infiltrante, un male devastante che portò alla morte di mia sorella dopo un progressivo disfacimento fisico e una progressiva perdita delle funzioni sensoriali dell’organismo. L’accumulo di questo immenso dolore col tempo le ha prodotto stati depressivi, manie, fissazioni nelle quali metteva sotto accusa il mondo intero, di cui lei si sentiva vittima. Col tempo è addirittura maturata il lei l’idea che mio padre avesse abusato di mia sorella, scaricandogli addosso le accuse più infamanti.

Negli ultimi anni poi, i segnali c’erano tutti ma non siamo stati capaci di riconoscerli: perdita della memoria e in particolare difficoltà nel ricordare le informazioni recenti, disturbi del linguaggio, aggressività, perdita di orientamento spaziale e temporale, fino alla progressiva perdita di autonomia; insomma, quello che generalmente viene definito come “demenza”. A mia madre era  stato diagnosticato un deficit cognitivo di cui troppo tardi abbiamo compreso la gravità, e la famiglia si è trovata impreparata ad affrontare la situazione. Nessuno ci ha fatto capire il significato e soprattutto le conseguenze di questa diagnosi.

Fino a quando, prima di partire per il suo ultimo e tanto agognato pellegrinaggio, ha disfatto più volte la valigia… perché dopo averla preparata non si rendeva conto di che cosa andasse a fare con quella valigia.

E così è partita con un gruppo di un’associazione religiosa di volontari verso il Santuario di Re, un paese ai confini con la Svizzera, affiancata da una persona che aveva il compito di assisterla.

Il giorno dopo il suo arrivo, a Ferragosto, dopo il pranzo, si è allontanata dalla casa albergo che la ospitava, una struttura gestita dalle suore. Il gruppo si è accorto della sua scomparsa solo alcune ore dopo, avvertendo le autorità solamente in serata. Inizialmente si è cercato all’interno della struttura; nel giardino, nelle stanze, nelle cucine, dalle cantine alle soffitte. Le ricerche da parte dei soccorsi sono iniziate, quindi, solo il giorno dopo. Guardie forestali, polizia, sommozzatori, elicotteri, cani molecolari fatti venire da Torino. Tutto il paese ha partecipato alle ricerche dimostrando una solidarietà inaspettata e commovente. Ma nei casi di scomparsa, come da protocollo, le ricerche da parte delle forze dell’ordine non possono durare più di 72 ore, dopo di che si interrompono. Vi lascio immaginare come aumenti l’angoscia alla notizia dell’interruzione delle ricerche. Anch’io e la mia famiglia ci siamo messi subito dopo sulle tracce di mia mamma, affiggendo foto e appelli dappertutto nel paese, nelle stazioni ferroviarie vicine, lungo le strade e lungo i sentieri. 

Ho contattato i testimoni che hanno confermato di aver visto una donna un po’ confusa, sudata, con un mazzo di fiori di campo, che chiedeva indicazioni per ritornare alla casa delle suore, distante da lì non più di un centinaio di metri. Il caso è stato poi portato all’attenzione della stampa e della TV. In redazione sono arrivate telefonate che testimoniavano di presunte presenze in un luogo piuttosto che un altro, alimentando così speranze, illusioni e delusioni e infine sensi di colpa che generano sofferenza. Sofferenza causata dal fatto che quell’evento non avrebbe dovuto accadere.

In quei momenti non sai più cosa fare. Ti aggrappi alla speranza, aspetti il miracolo che non arriva, ti logori per le parole dette e non dette, per le cose fatte e non fatte e hai bisogno di sentirti perdonare. Ma non c’è nessuno che lo fa. E allora, per me, la sola consolazione è stata quella di scriverle, di confessarmi con lei.

Se ho ancora qualche minuto ve la vorrei leggere.

Vorrei potere fissare nella memoria la prima immagine che ho di te. Vorrei potermi vedere bambino, il bambino che tenevi fra le braccia, ma anche questa volta l’immagine mi sfugge. Altre figure si pongono fra noi, mi portano via da te e ti nascondono. È incredibile quanto le esperienze e i ricordi dell’infanzia segnino le nostre vite. Quando si diventa adulti la visione delle cose cambia. La distanza dei ricordi mitiga le emozioni e qualche volta anche i sentimenti. Quando da bambino cadevo e correvo da te piangendo con le ginocchia sbucciate e sanguinanti, mi sentivo irriso mentre dicevi che le gambe non vanno in paradiso. Io, in quei momenti, avvilito, avvertivo la sensazione di essere poco importante per te e ne soffrivo. 

Ora però, dopo tanto tempo, so che non era così, e lo sconforto di allora si è trasformato in compassione. Perché la vita è stata avara con te. Ciò nonostante mi hai dato tutto quello che sapevi dare, anche se in certi momenti non sempre era quello che desideravo. Ma ora è bello ricordarti come ti hanno descritta quando sono venuto a cercarti: sudata, bagnata come un pulcino, con un mazzo di fiori di campo fra le braccia. Voglio sperare che nel luogo in cui ora ti trovi, tu possa sentirti bene. Perché ti confesso che, preso dai sensi di colpa, avevo pensato di portarti in un luogo protetto, dove avresti trovato persone come te, con gli stessi tuoi disagi, gli stessi tuoi problemi, ma ora so che l’avresti vissuta come una punizione, sarebbe stato come rinchiuderti in una prigione per anziani. Forse mi avresti rinfacciato una scelta che tu non avresti mai voluto, né per te, né per nessun altro. 

Invece ti sei presa la libertà che ti è stata negata e te ne sei andata, da protagonista. La destinazione la conosci solo tu. Io posso solo lasciarti una candelina accesa, così che tu possa trovare la strada del ritorno, se mai, un giorno, vorrai tornare a casa. È questa la preghiera che faccio tutte le sere. Non è più la preghiera dei primi giorni della tua scomparsa, quando desideravo riaverti a tutti i costi, quando per aiutarti pensavo di affidarti ad una struttura protetta, anche a costo di farti pagare un prezzo per te troppo alto, e che avrebbe significato privarti della libertà, se non addirittura della dignità. Ma se nel buio della notte vedi la luce di una candelina accesa e desideri tornare a casa, sappi che questa è la strada. 

Ti scrivo, anche se non so dove sei, in quale parte del mondo ti trovi e temo che questa lettera resti ancora senza una risposta. Ma non vorrei finire mai di scriverla, perché sarebbe la fine della speranza che ancora mi sostiene. Trovo conforto nelle parole che ti scrivo, dedicandoti qualche minuto delle mie giornate vuote, in cerca di te, appeso ad un ricordo carico di nostalgia e rimorso, per quello che avrei potuto fare e non ho fatto.

I pochi, pochissimi resti di mia madre sono stati ritrovati nel corso di un pattugliamento della guardia forestale sette mesi più tardi, nei pressi di una radura, in un bosco non molto distante dal paese in cui si trovava prima della sua scomparsa. 

Mia madre si è sempre sentita legata alla terra, alle piante, al ciclo delle stagioni. Solo così spiego il suo desiderio di addentrarsi nel bosco fino a perdersi. Mi conforta il fatto che la sua vita sia stata restituita alla natura e che la sua morte abbia consentito la vita ad altre creature. Questo mi da pace. Mi da pace pensare che lei si sia donata per continuare a vivere, e non solo nel mio ricordo.

 

Proposta di Progetto sociale educativo

Demenze. Quelli che spariscono

 Deve restare il buio oltre la siepe?

Quante persone anziane (e qualcuna no) si perdono in Italia a causa di una demenza nota o non sospettata e di conseguenza non diagnosticata, mancata diagnosi gravata dalla pesante zavorra di pregiudizi e luoghi comuni presenti in questo ambito nella comunità dei cittadini e persino in ambito socio-sanitario?

E’ di Marco Trabucchi ed è apparso su www.leonardo.it nel febbraio 2016:… anche se sta aumentando significativamente il livello di conoscenze sulle demenze da parte dei medici e degli altri operatori sanitari, restano ancora sacche di impreparazione, di scarso interesse, di ridotto impegno.

La “sparizione” di una persona con demenza può avvenire in vari modi e in presenza di numerosi contesti.

I protagonisti sono coloro che si allontanano da casa o da altri posti dove temporaneamente alloggiano e che spariscono a causa di alterazioni cognitive, in genere si tratta di demenze, che:

  • non sono state comprese dai familiari e dai medici o da quest’ultimi non sono state diagnosticate tempestivamente
  • sono state diagnosticate in maniera inadeguata
  • sono state diagnosticate da medici che hanno fornito una carente informazione ai familiari
  • le informazioni non sono state comprese o sono state sottovalutate dai familiari

Sono protagonisti del Progetto anche coloro che spariscono per una mera sfortunata serie di circostanze

  • quelli che avranno una diagnosi di demenza dopo il ritrovamento in vita
  • quelli che verranno trovati in tempo
  • infine… quelli che non verranno trovati mai

E’ una proposta e nello stesso tempo una sfida: compiere insieme un percorso per conoscere meglio i territori delle demenze, i pregiudizi, le false verità e le storture che gravano su malattie in piena espansione e tuttavia ampiamente sottovalutate, malattie che vedono sempre più persone, nel ruolo di malati o di familiari, protagoniste senza difesa di malpratica sociale e medica, a volte semplicemente attraverso il “razzismo dell’età”, ovvero l’ageismo, quel ”tanto è vecchio” che priva chi è vulnerabile e i suoi cari di una diagnosi e di ricevere una “cura”, anche se non farmacologica. Questo comportamento è favorito dall’idea pervasiva presente tra la gente comune, tra i familiari e spesso anche tra i professionisti socio-sanitari e persino tra i medici, di “sapere tutto sulle demenze”: nulla di più errato nel pensare che TUTTE siano “senili” oppure, bene che vada, TUTTE “Alzheimer” e che comunque TUTTE abbiano come sintomi basilari l’arcinoto problema di memoria per avvenimenti recenti.

La struttura clinica delle demenze è caratterizzata da una grande variabilità nell’esordio e nell’evoluzione, per cui bisogna superare quella distorta visione unitaria che vede(va) in passato la demenza di Alzheimer destinata a riassumere tutto lo scenario delle altre demenze.  La stessa demenza di Alzheimer, responsabile almeno del 60% dei casi totali di demenze, può debuttare peraltro anche con disturbi cognitivi “diversi” da quelli classici a carico della memoria: esordio con apatia e\o depressione, esordio “visuo-percettivo” come nell’Atrofia Corticale Posteriore  (PCA), in cui l’occhio è in grado di “vedere” ma le sue informazioni spaziali significative non sono adeguatamente comprese ed elaborate da quella parte del cervello posteriore che è rappresentata principalmente dai lobi parietali ed occipitali; esordio psico-comportamentale (apatia, depressione, alterazioni complesse della personalità); esordio con deficit “frontali” di critica, di programmazione-pianificazione-organizzazione delle attività, di attenzione; esordio con problemi del linguaggio (danno prevalente temporale sinistro); esordio dopo un episodio di delirium… 

Ma sono soprattutto le forme di demenza diverse da quella di Alzheimer, l’altro 40% circa, quelle che prevedono un inizio “diverso rispetto alla solita perdita di memoria”:

  • marcata apatia, depressione, alterazioni di pianificazione delle strategie, nei diversi tipi di demenza vascolare;
  • disturbi comportamentali severi e/o del linguaggio, nelle demenze fronto-temporali;
  • problemi “organizzativi” e di percezione dello spazio, allucinazioni visive complesse, idee psicotiche, parkinsonismo, estrema fluttuabilità dei sintomi, a volte “svenimenti” (sincopi) per riduzione della pressione arteriosa al passaggio dalla posizione supina a quella eretta (da coricato in piedi), saltuariamente sonnolenza estrema fino alla perdita della vigilanza, oppure confusione mentale: questo può accadere nella demenza più complessa, quella a corpi di Lewy (LBD). Un quadro di demenza simile alla LBD può essere rappresentato dalla malattia di Parkinson (MP) che evolve in demenza (MP-D) in quanto ambedue le malattie dipendono dal danno neuronale creato prevalentemente dall’alfa-sinucleina cerebrale alterata. Inoltre, tanto per tornare a discutere di esordi o meglio di sintomi e segni pre-clinici, sia la LBD che la stessa malattia di Parkinson possono essere precedute  (anche di un decennio o più!) da episodi notturni caratterizzati, nella fase in cui dovremmo avere i muscoli completamente rilassati mentre sogniamo (fase REM), da azioni motorie complesse, spesso violente verso chi dorme accanto: si chiamano (RBD, REM Behavior Disorder). Altri sintomi precoci: perdita dell’odorato, nuovamente depressione e\o apatia, e persino stitichezza (leggere tre miei articoli su www.ferdinandoschiavo.it, su www.perlungavita.it e altri siti: Storie di corpi… di Lewy. Un angelo alla mia tavola… anzi due; Sincopi e nuvole, e soprattutto Storie di corpi… di Lewy. Robin Williams, malato a sua insaputa)

A proposito dell’affermazione precedente su “l’occhio vede ma è il cervello che comprende lo spazio”: Michele Farina, affermato giornalista del Corriere della sera, scrive raccontando la dolorosa vicenda di sua mamma “… faccio difficoltà a vedere e a stirare” nel suo libro Quando andiamo a casa? quasi all’inizio di questo personale, realistico, commovente e singolare viaggio nei territori della demenza. In questo caso, è anche un testo didattico! Questa carenza di conoscenza si espande anche alla mancata esecuzione dei test cognitivi idonei e persino alla loro corretta interpretazione, incidendo certamente sulla tempestività e la correttezza della diagnosi e, di conseguenza, sul “prendersi cura” della persona con demenza e della sua famiglia, sulle tutele amministrative e legali.

Gli Obiettivi del Progetto sono:

  • studiare la portata del fenomeno attraverso l’esame clinico dei casi già accaduti in cui è noto o sospettabile un quadro preesistente di demenza costituendo un gruppo regionale di esperti appassionati da questo aspetto emergente nella nostra imperfetta sanità e in questa distratta società
  • valutare i casi futuri in un’ottica diversa da quella attuale
  • formare le comunità di cittadini anche attraverso forme già collaudate quali Quartieri Amici e persino Città Amiche della demenza
  • formare le Forze dell’ordine
  • formare la classe medica e i numerosi, essenziali, professionisti non-medici.

Nel corso dell’incontro formativo saranno proiettati il finale del film di Pupi Avati “Una sconfinata giovinezza” a cui seguirà il commento di Claudio.

Claudio Bonivento e Ferdinando Schiavo

Referente provvisorio: Dr. Ferdinando Schiavo, neurologo dei vecchi, autore di Malati per forza.

www.ferdinandoschiavo.it

Email: schiavo.libero@libero.it

Pagina Facebook: dott. Ferdinando Schiavo

 

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Proposta per un Corso di Formazione per Farmacisti

Pubblicato su 28 Aprile 2017 di Ferdinando Schiavo

Come costruire una sensibilità al problema delle “malattie evitabili da farmaci”?

Riflessioni sul ruolo delle responsabilità etiche (e legali?) in previsione di una nuova partnership che coinvolga il non-medico che lavora nel campo della Salute degli anziani fragili, il paziente e il cittadino.

farmaciaObiettivi del Corso

Stimolare una nuova sensibilità all’uso congruo dei farmaci; sviluppare un ulteriore controllo sulle malattie da farmaci da parte delle varie figure operanti nel campo della Salute (in questo caso i farmacisti); sollecitare una partnership tra operatori della salute, medici e non-medici e tra loro ed i  pazienti perché rappresenta un fondamentale cambiamento nella struttura dell’assistenza sanitaria, che deve intendersi integrata e ampliabile, appunto, anche alle figure professionali che col medico collaborano; risparmiare infine risorse economiche in quanto le malattie da farmaci incidono notevolmente anche su questo non trascurabile aspetto.

Descrivo una situazione accaduta in una farmacia (e che può facilmente accadere in qualsiasi luogo professionale e a qualsiasi operatore della Salute).

Anna G. con i suoi 78 anni un po’ malmessi e le sue tante compresse che era costretta a prendere era una cliente assidua in farmacia, sempre la stessa, e quasi sempre aiutata dalla stessa farmacista, che per lei aveva una parola gentile.

Ma quel giorno di settembre Anna era apparsa diversa: era stata via per quasi due mesi a mare, ospite del figlio. Alla fine di luglio, nella casa del figlio, aveva avvertito un intenso giramento di testa, associato ad un equilibrio precario e a nausea: uno specialista otorino del luogo le aveva consigliato la flunarizina (Flugeral, Fluxarten, Flunagen, Gradient, Issium, Sibelium). Aveva acquistato il farmaco e seguito le istruzioni del medico: una compressa da 5 mg la sera.

Appena tornata in città ai primi di settembre si era presentata dalla farmacista di fiducia: lenta e impacciata nei movimenti, la schiena un po’ curva, la mimica spenta, la voce appena percettibile. Presa in mano la ricetta, la farmacista aveva avuto un sobbalzo, aveva chiesto alcuni particolari delle cure di Anna e si era convinta che fosse stata la flunarizina a compiere il misfatto, ad averle creato una situazione di parkinsonismo da farmaco (flunarizina).

Come può agire responsabilmente il farmacista a questo punto?

Analisi della situazione:

  1. A. la paziente ha prolungato arbitrariamente la terapia, malgrado la prescrizione sia stata corretta, ovvero con l’indicazione ad assumere il farmaco per soli dieci giorni. Si tratta verosimilmente di ricetta libero-professionale specialistica.
  2. la ricetta di rinnovo terapia potrebbe essere, in alternativa, di tipo mutualistico, del medico curante o del sostituto o dello specialista convenzionato: in questo caso il comportamento si configura come Errore Medico in quanto il professionista ha confermato uno schema terapeutico non privo, alla lunga, di eventi avversi per un anziano.

La responsabilità può essere quindi del medico, dell’arbitrarietà del paziente o di ambedue, a causa della sua scarsa aderenza da parte del paziente alla prescrizione del medico per difetti di comunicazione informata medico-paziente.

Conseguenti decisioni e comportamenti professionali da assumere:

  1. invitare la signora a parlare col medico prescrittore e comunque col suo medico di fiducia
  2. chiamare il medico di fiducia o lo specialista. Da questa azione può attendersi:
    1. una collaborazione
    2. un rifiuto a collaborare
    3. peggio, un invito perentorio a non superare i confini del proprio ruolo professionale…
  1. nel timore di queste rappresaglie, non agire e consegnare colpevolmente il farmaco alla paziente.

 La soluzione, comunque, viene lasciata alla fantasia e all’esperienza di ciascun professionista della Salute, del paziente o del cittadino.

Gli esempi di parkinsonismo da farmaci potrebbero essere tanti e con protagonisti altri numerosi farmaci, come ad esempio la metoclopramide (Plasil ed altri nomi commerciali meno noti).

 

Iniziamo a farci due oneste domande:

– esistono obblighi di segnalazione legale dell’evento avverso da farmaci da parte dei non-medici?

– … e obblighi morali personali?

La risposta è sulle righe seguenti.

Si legge su Linee di indirizzo sugli strumenti per concorrere a ridurre gli errori  in terapia farmacologica nell’ambito dei servizi assistenziali erogati dalle farmacie di comunità.

Ministero della Salute. maggio 2014

Piano del corso

Dall’invecchiamento della popolazione, alla fragilità e alle patologie sottovalutate

  1. invecchiamento della popolazione e “nuove” patologie emergenti nell’epoca della medicina della fretta;
  2. basta poco per un circolo vizioso… o per uno virtuoso: la fragilità;
  3. incombenti e tuttavia sottovalutate, le demenze: i limiti della diagnosi, le contraddizioni, gli effetti paradossi, gli eventi avversi, le omissioni e i compromessi della terapia farmacologica
  4. se ne parla molto poco, malgrado sia più frequente dell’ictus cerebrale, terza causa di morte e prima causa di invalidità in Italia: il delirium
  5. sicuri di sapere abbastanza? Malattia di Parkinson (MP) e parkinsonismi degenerativi, vascolari e da farmaci
  6. le malattie da farmaci preferiscono le donne: il femminicidio da farmaci, la strage delle innocenti. Perché serve parlare di eventi avversi da farmaci ? Perché serve parlare di medicina di genere?

Altri argomenti opzionali, ramo medico

  1. non vengono trattate nei libri di neurologia: cadute e Sindrome della paura di cadere (Fear of Falling Syndrome)
  2. c’è ancora tanta confusione: il ruolo trascurato dell’ipotensione arteriosa sintomatica, le alterazioni e le perdite di coscienza di breve durata e l’epilessia ad esordio tardivo
  3. l’importanza delle campagne educative: perché l’Attacco Ischemico Transitorio cerebrale non è conosciuto come lo è la cardiopatia ischemica transitoria? Perché la neurologia è così poco conosciuta?
  4. nell’attuale medicina della fretta e della complessità c’è tempo e spazio per la corretta informazione, la comunicazione, l’effetto placebo e la prevenzione? I cambiamenti necessari nella relazione medico-paziente.

Argomenti opzionali di supporto per l’argomento demenze, ramo psicologico. Possono essere svolti da Neuropsicologa esperta.

  1. come affrontare senza farmaci i disturbi comportamentali delle persone con demenza
  2. auto-aiuto per i familiari di persone con demenza
  3. tecniche di stimolazione delle attività cognitive

Corso per i primi 6 temi: durata minima di 4 ore. Altre due ore per gli altri quattro temi opzionali di ramo medico.

Formatore: Dr. Ferdinando Schiavo, neurologo.

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Cinema e demenze, l’arte e la cura tra falsi miti, luoghi comuni ed errori

Pubblicato su 9 Aprile 2017 di Ferdinando Schiavo

01L’arte deve scuotere e non sempre consolare!

Uno dei compiti per chi si occupa di malattie devastanti come le demenze consiste nel fornire ai pazienti, ai loro familiari, agli operatori sociali e sanitari ed ai comuni cittadini che desiderano accrescere le loro conoscenze, informazioni corrette e utili a far fronte a notizie superficiali che spesso vengono propinate dai mezzi di informazione oppure si propagano e circolano tra la gente nei meandri dei luoghi comuni.

Alcuni film, prodotti a partire del 1989 con A spasso con Daisy ed arrivando al più recente Still Alice e al cortometraggio di Marco Toscani Ti ho incontrata domani, sono in grado di contribuire al compito di far comprendere i molteplici aspetti, ordinari o inconsueti, di queste malattie attraverso la sensibilità dell’arte. La visione di alcuni spezzoni tratti da vari film, per il loro valore didattico in toto o per l’intensità e la significatività di alcune scene e dialoghi, sarà motivo di commenti, riflessioni e approfondimenti critici.

Il cinema ci offre lo spunto per discutere della variabilità dei quadri clinici delle demenze e indica dei punti critici su cui è necessario dibattere perché i luoghi comuni, a forza di ripeterli, qualche volta riescono a diventare opinione diffusa e poi certezza che non si discute, ma che va combattuta e smantellata, e al più presto.

Le demenze tra falsi miti, luoghi comuni ed errori

In questo campo in inquietante espansione e tuttavia sottovalutato sono numerosi i luoghi comuni, i miti e gli errori che impediscono un intervento corretto per una diagnosi tempestiva e per una gestione adeguata.

  1. Un commento autorevole basato su un esame della realtà è la dimostrazione della persistenza di angoli bui, e ci riempie di amarezza: è di Marco Trabucchi ed è apparso su www.leonardo.it nel febbraio 2016: … anche se sta aumentando significativamente il livello di conoscenze sulle demenze da parte dei medici e degli altri operatori sanitari, restano ancora sacche di impreparazione, di scarso interesse, di ridotto impegno. E’ un consenso a quanto da anni penso, quella dolente idea di scarso impegno di alcuni medici per la quale ho inventato, aiutato nel compito da colleghi illuminati e coraggiosi…

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  1. La struttura clinica delle demenze è caratterizzata da una grande variabilità nell’esordio e nell’evoluzione, per cui bisogna superare quella distorta visione unitaria che vede(va) in passato la demenza di Alzheimer destinata a riassumere tutto lo scenario delle altre demenze. La stessa demenza di Alzheimer, peraltro, è responsabile del 60% circa dei casi totali di demenze e può esordire anche con disturbi cognitivi “diversi” da quelli classici a carico della memoria: esordio visuo-percettivo come nell’Atrofia Corticale Posteriore, PCA in cui “l’occhio è in grado di vedere ma le sue informazioni spaziali e di significato non sono adeguatamente comprese ed elaborate da quella parte del cervello che è rappresentata principalmente dai lobi parietali ed occipitali”; esordio psico-comportamentale (apatia, depressione, psicosi, allucinazioni, difficoltà di critica e alterazioni complesse della personalità); esordio con deficit di pianificazione-organizzazione e di attenzione (alterazioni frontali); esordio con problemi del linguaggio (danno prevalente temporale sinistro); esordio con depressione e\o apatia…
  2. Sono soprattutto le forme di demenza diverse da quella di Alzheimer, l’altro 40%, che prevedono un esordio “diverso” da quello relativo alla perdita di memoria:
    1. Apatia, depressione, alterazioni di pianificazione nei diversi tipi di demenza vascolare;
    2. Disturbi comportamentali e\o del linguaggio nelle demenze fronto-temporali;
    3. Problemi “organizzativi” e di percezione dello spazio, allucinazioni visive complesse, parkinsonismo, estrema fluttuabilità dei sintomi, a volte “svenimenti” (sincopi) per riduzione della pressione arteriosa al passaggio dalla posizione supina a quella eretta (da coricato in piedi), saltuariamente sonnolenza oppure confusione mentale, nella demenza più complessa, quella a corpi di Lewy (LBD). Un quadro di demenza simile alla LBD può essere rappresentato dalla malattia di Parkinson (MP) che evolve in demenza (MP-D) in quanto ambedue le malattie dipendono dal danno neuronale creato prevalentemente dall’alfa-sinucleina alterata. Inoltre, tanto per tornare a discutere di esordi, sia la LBD che la stessa malattia di Parkinson possono essere preceduti (anche di un decennio o più!) da episodi notturni caratterizzati da azioni motorie complesse, spesso violente verso chi dorme accanto, durante la fase dei sogni, ovvero in fase REM (RBD), da perdita dell’odorato, da depressione o apatia, e persino da stitichezza!

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Tuttavia, il principe dei luoghi comuni, che imperversa tra la gente e tra i professionisti della salute, medici compresi, resta figlio dell’ageismo, del razzismo dell’età, del “tanto è vecchio”. L’ageismo giustifica a suo modo qualsiasi forma di omissione di una diagnosi e possibilmente di una cura, e se una cura non c’è, del prendersi cura della persona con demenza e del dolore impotente dei familiari.

Altre erronee convinzioni? Il mini-mental (MMSE), il test cognitivo breve più usato nel mondo per la diagnosi può essere “negativo” o con punteggi alti che vengono ritenuti ancora normali anche in persone con manifestazioni reali di coinvolgimento cognitivo o comportamentale a volte persino gravi. Succede perché la persona malata è fluttuante e quel giorno (o in quell’ora) è in fase positiva, perché il test è inadatto a valutare determinate funzioni cognitive, perché semplicemente alcuni punti persi sono molto più “pesanti” di altri e vanno interpretati e non solo aridamente conteggiati! Si può essere clinicamente dementi, ad esempio, sbagliando clamorosamente una delle ultime prove, quella della copia dei due pentagoni: se poi l’errore consiste nel disegnare all’interno del modello si prospetta il fenomeno del closing in che indica una mancanza di “elaborazione e programmazione nello spazio” ed altro ancora, anomalie che tradotte nel mondo reale, ovvero a casa della persona con demenza, si traducono con l’incapacità di eseguire correttamente i lavori in casa o di capire il mondo che sta attorno. Quel punto non vale uno come la data di quel giorno dimenticata ma “vale almeno 15 punti” in meno!”

Il Mini Mental mente…

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La realtà è, quindi, spesso complessa ed altri fattori possono renderla ancora più intricata:

  1. Per intervento farmacologico: se la persona con demenza è anziana e assume altre farmaci per varie malattie, alcuni di questi possono, appunto, interferire sui processi cognitivi e sul comportamento. Tra le medicine imputabili in reazioni avverse varie ed effetti paradossi (quelli opposti agli effetti attesi) un ruolo primario spetta agli ansiolitici, quasi sempre benzodiazepine: Valium, Tavor, Minias, EN, ecc.

Altre terapie farmacologiche hanno spesso una ricaduta negativa a livello motorio ovvero sono in grado di provocare parkinsonismo, acatisia ed altri eventi avversi. Si tratta degli antipsicotici tradizionali che vengono adoperati per “calmare” l’aggressività, le psicosi, le allucinazioni. Uno per tutti di un elenco nutrito: l’aloperidolo (Serenase e Haldol). Reazioni avverse o paradosse possono avvenire persino con i “nuovi” antipsicotici: quetiapina-Seroquel, olanzapina-Zyprexa, ecc.

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  1. Per restare in tema, molti soggetti con malattia di Parkinson o parkinsonismi vari (malattie simili alla MP ma che non rispondono sostanzialmente alle terapie dopaminergiche consuete) possono evolvere verso una demenza.
  2. Non va dimenticato che ogni individuo è diverso da un altro, ha la sua vita e contiene le sue esperienza; diversa è d’altra parte ogni famiglia che lo assiste e variegate sono le dinamiche interne al nucleo familiare.

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  1. Infine, un messaggio che va inviato a chiare lettere e a largo raggio, dai medici fino ai familiari: le strategie non farmacologiche sono la base essenziale, imprescindibile, da cui bisogna partire e procedere, abbandonando l’idea malsana che “ogni disturbo comportamentale può essere attenuato attraverso l’uso degli psicofarmaci”.

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Il peso dei (falsi) miti e dei luoghi comuni e dei conseguenti errori non si ferma qui: nel campo delle terapie farmacologiche per la componente cognitiva le variabili sono infinite. In particolare: è corretto che venga proseguita una terapia con I-ChE (Donepezil- Memac-Aricept-Lizidra, Rivastigmina-Exelon, ecc.) o Memantina (Ebixa) se il paziente è no-responder?

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Il Rapporto mondiale presentato nel settembre 2016 alla vigilia della XIII Giornata Mondiale dell’Alzheimer va incontro al mio personale impegno ultradecennale di lotta ai luoghi comuni elencando i punti critici: i ritardi nella diagnosi, la necessità oramai non rinviabile del coinvolgimento dei medici di medicina generale e infine l’esigenza di intercettare tempestivamente i primi sintomi, tra i quali il Rapporto conferma quelli cognitivi e comportamentali citati prima. E’ il riconoscimento che la strada che ho intrapreso da tempo è quella giusta: entrare dentro una storia umana con professionalità, delicatezza e rispetto.

Durata del corso: da 2 a 4 ore. Estensibile ulteriormente su temi inerenti la fragilità, le cadute, le perdite di coscienza e l’epilessia tardiva e, infine, le malattie da farmaci negli anziani & anziane.

Adatto a tutti, ai professionisti socio sanitari di ogni livello, ai semplici cittadini che (“sapendo”) possono proteggersi e agli studenti delle scuole superiori che vanno informati dello scenario attuale e futuro di fragilità legata all’invecchiamento che si sta determinando progressivamente a livello mondiale.

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Ciabatte Rosse: proposta di progetto educativo

Pubblicato su 9 Aprile 2017 di Ferdinando Schiavo

ciabatte rosse copertinaDr Ferdinando Schiavo, neurologo dei vecchi, autore di Malati per forza

Proposta di Progetto educativo

Oltre le ricorrenze del 25 novembre, Giornata della violenza sulle donne, e dell’8 marzo, Giornata della donna.

Ciabatte rosse: la strage delle innocenti. Le anziane e la violenza nascosta da farmaci

La popolazione mondiale, e italiana in particolare, invecchia sempre di più rispetto al passato ed è spesso fragile e colpita da malattie croniche, fa largo uso di farmaci e quasi sempre in numero progressivo con l’avanzare dell’età.

In questo scenario il miglior tasso di sopravvivenza delle donne le espone, rispetto agli uomini:

  1. ad un livello di fragilità più esteso rispetto ai cinque “anni guadagnati”
  2. ad un più elevato consumo di farmaci
  3. … a cui rispondono in maniera differente
  4. … e soffrendo peraltro in maggior misura di eventi avversi legati proprio al loro uso.

Inoltre, i farmaci sono testati su persone giovani e quasi tutte di genere maschile e solo raramente sugli anziani. Le anziane, di conseguenza, pagano un doppio prezzo poiché usano farmaci che non sono stati sperimentati in modo adeguato né sulle donne né sulle persone anziane.

01 ciabatte rosse 02 03

La medicina di genere da tre decenni tenta di combattere l’errata convinzione che vi sia una perfetta equivalenza uomo-donna. Questa diversità ignorata ha comportato e comporta tuttora errori diagnostici e terapeutici dalle conseguenze in parte evitabili, soprattutto per il genere femminile.

Le anziane, quindi, sono i soggetti più bisognosi di attenzioni in campo medico, subiscono le ripercussioni di una medicina spesso disattenta e superficiale che non conosce la gerontologia e non è adeguatamente preparata a padroneggiare e interpretare le differenze di genere, una medicina in cui sopravvive la passività ipocrita, superficiale, omissiva e comoda, dettata da ageismo «è solo vecchio», da nichilismo «non c’è niente da fare», e infine da fatalismo «rassegniamoci, accettiamo lo stato delle cose».

E’ un fatto oramai consolidato che in tutte le strutture residenziali le donne anziane siano la stragrande maggioranza degli ospiti. Le residenze sono spesso gestite da medici e da altri professionisti della salute non sempre adeguati a prendersi cura dei loro ospiti, come è dimostrato da numerose ricerche, tra cui il mio personale Progetto di supervisione di un campione di ospiti in istituti e centri diurni per anziani Uno sguardo in più sull’anziano fragile in casa di riposo e in diurno (Titolo finale: La strage delle innocenti) è visibile in abstract dal 2015 su www.alzheimerudine.it e www.ferdinandoschiavo.it. Può essere richiesto in forma completa a: alzheimerudine@libero.it oppure schiavo.libero@libero.it

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Se questa non è violenza contro le donne!

Non fermiamoci a commemorare solo le vittime della furia ignorante, cinica e gelida dei maschi, più spesso donne giovani, le Scarpette Rosse che ogni anno tocca commemorare poiché questo doloroso fenomeno non accenna ad estinguersi. Molti delitti, una vera eutanasia silenziosa avviene nelle RSA e nelle case delle persone anziane! Non dimentichiamolo.

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Il neurologo e gli effetti  indesiderati (neurologici e non) dei farmaci

Molti sintomi o segni che si incontrano in neurologia possono essere indotti da farmaci (soprattutto negli anziani) e a volte, associandosi fra di loro, possono dar luogo a manifestazioni cliniche che “mimano” malattie idiopatiche come la malattia di Parkinson, l’epilessia, le demenze ed altre ancora.

Tuttavia, gli errori sanitari più eclatanti che vengono raccontati dai vari mezzi mediatici accadono nell’ambito chirurgico, così come è l’area chirurgica quella che raccoglie i meritati allori quando ricostruisce un arto, restituisce la vista, salva una vita. Non si è mai visto su un giornale o in TV una notizia tipo “Ha vissuto mummificata da una cura sbagliata per cinque anni fino a quando è stata liberata da quel farmaco ed è rinata”.

Eppure, i casi di persone vittime di malpratica medica e di eventi avversi da farmaci, quindi quasi tutti non imputabili ad errori chirurgici, sono la muta e silenziosa maggioranza!

donna scambiata per demente 09

Si sbaglia a causa della personale cattiva conoscenza ed anche per insegnanti disamorati, per inesperienza, per mancanza di quella umiltà che consente di apprendere dagli errori e si giunge così alla scarsa appropriatezza nella prescrizione della cura. Ma si sbaglia persino per “banali” errori di trascrizione e di conseguenza di assunzione dei farmaci, e tanto di più nella persona anziana che ne fa un uso progressivamente più ampio col procedere dell’età, della fragilità e delle patologie croniche.

Infatti, “i farmaci vanno gestiti anche attraverso processi di revisione e riconciliazione” – è stato sottolineato al Convegno della SIGG a Napoli all’inizio del dicembre 2016. Serve una valutazione multidimensionale ed è necessario evitare la frammentazione dell’approccio multispecialistico al paziente anziano complesso, che come sappiamo è più fragile di fronte alle interazioni tra farmaci a causa di un metabolismo modificato e della multimorbilità. Secondo i geriatri i rischi della mancata revisione da parte di un “direttore d’orchestra” che sappia scegliere i medicinali giusti da assumere sono maggiori nelle Residenze Sanitarie Assistite (RSA), ma non mancano neppure fra le mura domestiche: oltre il 50% degli over 65 aggiusta da solo posologie e cure, esponendosi ancora di più a pericoli.

 

Il Progetto Ciabatte Rosse è adatto alla formazione dei professionisti della sfera sociale e sanitaria di ogni livello e grado, dei comuni cittadini e degli alunni delle scuole superiori, di chi desidera impegnarsi contro il razzismo dell’età, l’ageismo.

Siate originali! Parliamone perché il vostro silenzio completa l’opera di violenza nascosta, il femminicidio da omissione…

Buona riflessione!

Ferdinando Schiavo, neurologo dei vecchi, autore di Malati per forza. www.ferdinandoschiavo.it.

schiavo.libero@libero.it

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Evento artistico formativo: Nel territorio delle demenze, tra falsi miti ed errori. Oltre i luoghi comuni

Pubblicato su 8 Marzo 2017 di Ferdinando Schiavo

Evento Artistico Formativo 1E’ una proposta e nello stesso tempo una sfida: compiere insieme un percorso per conoscere meglio i territori delle demenze, le storture di malattie ampiamente sottovalutate (persino dalla classe medica) che vedono sempre più persone, nel ruolo di malati o di familiari, protagoniste senza difesa di patologie facilmente soggette a malpratica medica, a volte semplicemente attraverso un comportamento di omissione sulle ali dell’ageismo, di quel ”tanto è vecchio” che priva chi è vulnerabile e i suoi cari di una diagnosi e di una cura. Cura: sappiamo bene che oggi non esiste una reale cura per le demenze se perseveriamo nell’idea asettica e consumistica che cura significa inevitabilmente farmaco risolutore. Invece, proprio di fronte a malattie del genere (e di genere! Prevalgono nelle donne…) dobbiamo imparare ad ampliare il nostro sguardo, a prenderci cura, a rassicurare dando ampio spazio all’empatia, a dedicare tempo e attenzione per una comunicazione informata non priva di professionalità e infine a rendere prioritarie le strategie senza farmaci, assolutamente indispensabili per affrontare sofferenze prolungate che annichiliscono famiglie intere.

Questo viaggio si compie attraverso le parole di Ferdinando Schiavo, “onesto artigiano della neurologia dei vecchi”, che ribadirà quanto sia difficile ma indispensabile scrollarsi di dosso il peso dei luoghi comuni che impediscono di conoscere e affrontare in maniera adeguata i territori della demenza. Quali sono questi luoghi comuni? Eccone alcuni.

Evento Artistico Formativo 2La struttura clinica delle demenze è caratterizzata da una grande variabilità nell’esordio e nell’evoluzione che ci costringe a superare quella distorta visione unitaria che vede(va) in passato la demenza di Alzheimer destinata a riassumere tutto lo scenario delle altre demenze. Ciò vuol segnalare che non solo le demenze non appartengono tutte al mondo dell’Alzheimer, ma che la stessa demenza di Alzheimer può esordire in maniera differente da come ci viene ripetuto noiosamente da decenni. Almeno il 10 %, o forse più, di demenze legate alla sola patologia di Alzheimer può esordire, infatti, in modo diverso dai soliti problemi di memoria: alterazioni comportamentali come profonda apatia, depressione, ansia, psicosi, oppure della sfera “organizzativa” dei nostri processi mentali; in altri ancora si manifesta con anomalie del linguaggio o di modalità cognitive apparentemente minori: “Faccio difficoltà a stirare” dice la mamma di Michele Farina, affermato giornalista del Corriere della sera, nel suo libro Quando andiamo a casa? quasi all’inizio del suo realistico, commovente e singolare viaggio nei territori della demenza. La madre non aveva compiuto 65 anni e manifestava i primi sintomi in relazione al danno prevalente a livello della corteccia cerebrale posteriore, quella che “capisce e dona un significato, assegna uno spazio a ciò che gli occhi trasmettono e in vario modo incide sull’organizzazione dei gesti”. Oculisti e ottici naturalmente non le potevano risolvere il problema: l’occhio vede ma è il cervello che deve interpretare la realtà!

Evento Artistico Formativo 3Per completare questa panoramica didattica e nello stesso tempo avvincente basta ricordare poi che circa il 40% delle demenze non è di natura alzheimeriana e pertanto, all’apertura del sipario di un tale dramma in una famiglia risulta ancora più frequente che i primi sintomi si mostrino ben diversi rispetto alle nostre vecchie e stantie conoscenze legate ai difetti della memoria. Questa carente conoscenza, che si espande anche all’interpretazione dei test cognitivi, incide certamente sulla tempestività e la correttezza della diagnosi e del prendersi cura della persona con demenza e della sua famiglia.

Alle parole e alle immagini, seguirà il cortometraggio di Marco Toscani Ti ho incontrata domani, prodotto da Paola Taufer (SIPAA Trento), un piccolo film dalle intense emozioni che realizza anche un compito didattico, tanto utile e doveroso in questa epoca di passioni tristi. Anche questa opera porta lo spettatore lontano dai luoghi comuni che accerchiano di dolente solitudine e di incomprensione questi drammi umani consentendoci una conoscenza di aspetti indubbiamente poco noti nelle dinamiche mentali della persona sana ma che possono apparire nel corso dell’evoluzione di una storia di demenza e a volte segnarne l’esordio. Il corto ha vinto per la miglior regia il Global Short Film Festival New York – Cannes 2016.

Il film sarà seguito da una breve e lancinante pièce teatrale, scritta da Marzia Vitanza e interpretata dalla stessa protagonista Chiara Turrini. Qui, la storia e la splendida interpretazione regalano la suggestione di un decorso di malattia “classico” ma altrettanto ricco di emozioni magistralmente riassunte nei circa dieci minuti di durata. La potenza del messaggio può accrescere l’atmosfera emotiva e formativa con la partecipazione degli altri due interpreti, Lara Rigotti e Mario Peretti.

Il film, lo spaccato di teatro che lo segue e le considerazioni scientifiche contro luoghi comuni ed errori ci daranno la possibilità di riflettere e di assimilare aspetti innovativi. La struttura centrale di questo Evento Artistico Formativo è già stata sperimentata con successo nel corso del 2015 in varie località in Trentino-Alto Adige, tra cui Trento, Bolzano, Riva del Garda, Pergine, Rovereto e Taio, a Udine in un coinvolgente 10,100, 1000 passi nei territori della demenza organizzato dal comune e dall’associazione ONLUS Demaison (www.demaison.it), a Borgonovo (PC), l’8 maggio nuovamente a Udine nell’ambito del prestigioso Premio Terzani Vicino\Lontano, a Figline Valdarno, a Catanzaro, a Firenze, a Barbarano (VI), a Castelnuovo (VR), a Senigallia, a Piacenza, ecc.

Del “gruppo” fa parte anche Michele Farina (vedi sopra) che ha illuminato alcuni incontri con la sua esperienza e la personale sensibilità dettata dall’esperienza sul campo.

All’Evento Artistico Formativo possono intervenire, ovviamente, anche professionisti e persone del luogo che siano in grado mantenere l’atmosfera emotiva e trattare in modo originale e collaborativo i numerosi aspetti delle demenze, a livello scientifico oppure attraverso l’arte e il semplice sentimento del racconto autobiografico, della poesia o della musica.

Oppure del gioco! Claudio Favaretto ha creato con sincera passione la Ol’Boys per dare una mano ad anziani e persone con demenza stimolando sensazioni antiche e nuove attraverso giochi originali di vario tipo (www.olboys.it).

Non è finita: le cene itineranti proposte da Cristina Giacomelli, cuoca a domicilio, possono seguire o precedere l’evento, arricchirlo di… sapori e nello stesso tempo renderci partecipi del suo fantastico progetto ‪#‎timangiocongliocchi a sostegno delle famiglie colpite dall’Alzheimer. Il cibo e la linea di occhiali Ti Mangio con gli occhi vogliono unire il mondo della gastronomia con quello della moda in nome di una nobile causa: la raccolta di fondi da destinare a famiglie con persone affette da demenza e realmente bisognose.

Ti ho incontrata domani

FILM – TRAILER

Con l’augurio che il nostro lavoro e la nostra proposta siano di vostro interesse! Adatto anche per le scuole.

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Violenza di genere: il femminicidio da farmaci

Pubblicato su 28 Ottobre 2015 di Ferdinando Schiavo

femminicidioLa maggiore sopravvivenza delle donne (aumento della speranza di vita), peraltro l’ospite prevalente nelle residenze per anziani, le espone ulteriormente, rispetto agli uomini, ad un tasso di fragilità più estesa (riduzione degli anni di vita sana) la quale è legata non solamente agli anni di vita guadagnati, ma anche al conseguente consumo di farmaci, a cui  peraltro rispondono in modo differente e con un più elevato carico di eventi avversi: le malattie da farmaci preferiscono le donne!

Quanto accennato consente di aprire una parentesi interessante, di parlare di Medicina di genere. La biologia di genere contribuisce dunque all’aumento di casi clinici ed umani di “malattie da farmaci” e descrive un aspetto intrigante per decenni colpevolmente sottovalutato: quando si parla di salute, il genere, cioè quell’insieme di differenze sessuali, ma anche genetiche, culturali, sociali e comportamentali che strutturano l’identità di ciascun individuo, influisce biologicamente sul modo in cui una malattia si sviluppa, viene diagnosticata e curata.

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I miei interventi come relatore

  • 28 marzo 2025 – Castelfranco Veneto – Demenze & Cittadini
  • 20 marzo 2025 – Webinar – Demenze giovanili: riconoscerle per comprenderle
  • 8 marzo 2025 – Bologna – Una casa a misura di donna
  • 6 marzo 2025 – Buttrio – Alimentiamoci di benessere
  • 28 novembre 2024 – Bologna – Stimolazione cognitiva e fisica nella cura della demenza: sinergie tra sanità e sociale
  • 26 ottobre 2024 – Cividale del Friuli – Anziani, prevenzione alla fragilità
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