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Dott. Ferdinando Schiavo

Archivio Categoria: Varie

Presentazione del libro “Il Corpo nella Demenza”

Pubblicato su 21 Novembre 2021 di Ferdinando Schiavo

“Il Corpo nella Demenza”

La Terapia Espressivo Corporea Integrata nella malattia di Alzheimer e nelle altre demenze.

Elena Sodano. Maggioli Editore.

Ecco un libro che si prende cura di persone, piuttosto che semplicemente accontentarsi di curarle, perché curare può essere un arido esercizio costruito con formule e algoritmi da seguire secondo linee guida, attraverso esami e farmaci, strategie che non sempre rassicurano se non sono collegate ad umano ascolto ed empatia, a buona informazione e corretta comunicazione, quando serve persino al contatto col corpo di chi è vittima di qualsiasi sintomo o malattia o semplice paura.

Ecco, un concetto apparentemente banale o insignificante in questa epoca tecnologica, un concetto che ha a che fare con il lavoro appassionato di Elena Sodano e con il suo libro: il semplice toccare il corpo di chi si rivolge a noi operatori della salute, medici o meno, può rappresentare già un atto terapeutico fruttuoso perché il risultato che nasce da un buon rapporto tra operatore e paziente, è dimostrato oramai da decenni, è frutto dell’effetto placebo attraverso una complessa stimolazione a buon fine di aree cerebrali, una rivoluzione di mediatori chimici e di ormoni finalizzate al raggiungimento del possibile benessere. “Oggi non vi sono dubbi, né per la scienza né per la filosofia, che il problema mente-corpo si identifichi con il problema mente-cervello… una delle discipline moderne che studia l’unità mente-cervello-corpo è la psico-neuro-endocrino-immunologia…” scrive un esperto di fama mondiale, Fabrizio Benedetti su L’effetto placebo. Breve viaggio tra mente e corpo (Carocci editore).

Toccare un corpo, accarezzarlo, abbracciarlo provocano, tra l’altro, un aumento di ossitocina, la sostanza chimica principale della connessione sociale, che è un ormone che raggiunge attraverso il sangue e collega vari organi, un ormone della calma e della tranquillità, dell’armonia sociale, dell’intimità. Ma è anche un neurotrasmettitore del nostro sistema nervoso autonomo, quell’apparato complicato e diffuso nel nostro organismo che “non comandiamo”, che ci fa battere il cuore, aumentare la pressione, arrossire, sudare, come raccontano John Cacioppo e William Patrick in Solitudine. L’essere umano e il bisogno dell’altro (Il Saggiatore) gettando le basi per lavori scientifici successivi che hanno confermato in che modo la solitudine sia addirittura uno dei nuovi fattori di rischio, assieme alla sedentarietà, di svariate condizioni patologiche, demenze comprese.

Toccare un corpo, palpare l’addome o qualsiasi sua parte dolorante o meno può essere ovviamente anche una determinante valida per una diagnosi: e tuttavia, oggi sembra una modalità impiegata progressivamente sempre meno dai miei colleghi, a beneficio di esami che dovrebbero darci una certezza maggiore (e una copertura difensiva…) ma che allontanano emotivamente i due protagonisti, il medico e il paziente che si rivolge a lui.

Una persona che oggi ha 80 anni o più, basta riflettere, è passato da una condizione in cui il suo medico «sapeva un po’ di tutto» ad un’altra caratterizzata da una superspecializzazione nella quale, peraltro, le specializzazioni non solo non comunicano tra loro, ma spesso frammentano il corpo in una visione che parla agli organi e quasi mai all’organismo intero.

Non solo! La frammentazione delle competenze sta comportando una diminuzione delle responsabilità, che di conseguenza si dissolvono all’interno del gruppo di medici coinvolti nella cura delle diverse patologie di una anziano: emerge frequentemente una difficoltà nell’indicare quale sia il medico a cui spetti l’onere di tirare le fila della miriade di accertamenti eseguiti e delle cure, chi sia il direttore d’orchestra.

Nello scenario attuale dominato dal progressivo invecchiamento della popolazione mondiale e italiana, hanno una posizione sempre più dominante i quadri neurodegenerativi che vedono protagonisti mente e movimento in crisi: le demenze, la malattia di Parkinson e i poco conosciuti parkinsonismi, malattie simili alla malattia di Parkinson ma che non rispondono sostanzialmente alle terapie dopaminergiche consuete, ed altre patologie meno frequenti.

E così, i capricci della mente e quelli del movimento possono apparire associati in malattie complesse e severe come la demenza a corpi di Lewy, la demenza fronto-temporale associata a parkinsonismo (e a volte anche a SLA in una summa di tremende patologie neurodegenerative!), la stessa malattia di Parkinson che evolve in demenza, oppure i parkinsonismi da farmaci che inquinano la vita di tante persone anziane e rimangono tante volte non riconosciuti e risolti.

Come accennato, persone con malattia di Parkinson o parkinsonismi vari possono evolvere verso una demenza. C’è un altro aspetto inquietante: alcuni parkinsonismi sono curati proprio con i dopaminergici Sinemet, Madopar, Sirio, Jumex e altri ancora, come se fossero la “vera” malattia di Parkinson anche se, appunto, non solo non traggono alcun miglioramento sotto il profilo motorio dai farmaci ma possono subirne un ulteriore carico di eventi avversi (allucinazioni, sincopi, ecc.).

Dobbiamo ricercare le storie personali, il CHI oltre al CHE COSA, ovvero la malattia, guardando alla persona reale in relazione alla malattia e non solo alla malattia, aveva scritto anni fa il grande collega Oliver Sacks

Gli operatori sociali e sanitari, tutti, dovrebbero allargare lo sguardo e tenere nel debito conto che ogni individuo malato ha una propria singolare storia e così la sua famiglia, e che le rispettive dinamiche personali e familiari, se non sono arricchite dall’amore, se non sono sane ed equilibrate, possono contribuire a mantenere alto il tasso di complessità, che per il resto è legato alla natura di ogni tipo di malattia neurodegenerativa.

Ancora di più nel territorio complesso delle demenze, chi si prende cura di una persona malata e della sua famiglia dovrebbe entrare in questa storia, unica e originale, con profondo rispetto e in punta di piedi, con il compito di comunicare con onestà e coraggio, senza omissione di diagnosi e cure, la sconfitta della scienza di fronte a queste patologie progressive. Dovrebbe contribuire a insegnare ai familiari a elaborare il lutto e a farsi aiutare cercando di metterli in grado di interpretare ciò che la persona malata vuole comunicare. “senza etichette sommarie fatte di pregiudizi e senza obbligatorie scorciatoie verso una terapia farmacologica non sempre proponibile e non sempre seguita da miglioramenti” scrive Elena Sodano.

Oggi non abbiamo terapie efficaci che impediscano la progressione (anatomica e funzionale, in termini di perdita di neuroni e di connessioni) di tante malattie della mente e del movimento: gli unici risultati visibili si ottengono dagli anni settanta nel periodo iniziale della “luna di miele farmacologica” dei pazienti con malattia di Parkinson. Ma questi dopaminergici e gli altri farmaci per le demenze curano solo i sintomi e non la causa che porta a morte quei neuroni.

Almeno fino a oggi. Siamo in trepida attesa dei risultati di numerosi lavori in corso su varie molecole forse attive sulle ragioni patologiche per cui certi neuroni soffrono e poi muoiono.

Possiamo prenderci cura dei nostri fragili ponendo attenzione ai molti aspetti di contorno, sociali e sanitari: far fronte all’apatia e all’abbandono, curare bene un diabete, il peso corporeo, l’alimentazione, l’attività fisica, eliminare farmaci inutili o dannosi.

La realtà delle demenze può divenire ancora più complessa perché l’intervento di vari farmaci sulle anomalie comportamentali può renderla più intricata in quanto possono interferire nei processi cognitivi e nello stesso comportamento attraverso reazioni avverse ed effetti paradossi (ovvero effetti opposti a quelli attesi), come può accadere con gli ansiolitici, quasi sempre benzodiazepine: Valium, Tavor, Minias, EN e numerosi altri nomi.

Sono tanti nel comodino dell’anziano fragile, cronico o malato, i farmaci provvisti di un’attività anticolinergica, ovvero opposta al buon funzionamento dell’acetilcolina, uno dei più importanti neuromediatori del cervello: Buscopan e, purtroppo, tante altre sostanze, possono procurare una riduzione delle capacità cognitive e, in concorso con altre sostanze e con numerose condizioni (disidratazione, febbre, contenzione fisica, ecc.), portare a temibili episodi confusionali (Delirium) dagli esiti non sempre benevoli per la salute di un anziano.

Altre medicine provocano una ricaduta negativa a livello motorio, ovvero sono in grado di provocare parkinsonismo, distonie, acatisia. Quest’ultima è sfortunatamente poco conosciuta: consiste in una incapacità a stare fermi o a stare zitti, per cui può essere scambiata per “ansia” e pertanto destinata a subire un aggravamento paradossale se è affrontata aumentando la dose del farmaco incriminato! I colpevoli si annidano quasi sempre tra gli antipsicotici tradizionali che vengono adoperati per combattere l’aggressività, l’agitazione, le psicosi, le allucinazioni. Uno per tutti di un elenco nutrito: l’aloperidolo (Serenase e Haldol). In questo elenco di molecole che stavolta lavorano “contro” il neuromediatori dopamina sono presenti nomi noti e per qualcuno insospettabili come il Plasil, il Difmetré, il Levopraid ed altri ancora.

Reazioni avverse o paradosse possono avvenire persino con i “nuovi” antipsicotici atipici: quetiapina-Seroquel, olanzapina-Zyprexa, risperidone-Risperdal.

Da anni mi sforzo di far capire che agitato + psicofarmaco non sempre è uguale a paziente calmo e che le strategie non farmacologiche “valgono” 95 mentre quelle farmacologiche solo il restante 5 per cento. Detto da un medico ha il profumo dell’eresia!

Mi rendo conto che certamente, per coloro che non conoscono a fondo le tematiche legate al mondo delle demenze, sembra impossibile non poter comunicare con la persona malata. Questa incomprensione li porta spessissimo a compiere tentativi di riportarla alla nostra realtà di individui sani. Sbagliando. Non è semplice riuscire ad accettare la progressiva in-utilità delle parole (si badi bene: non del parlare!), del “volere educare”, del “pretendere”, del nostro arrabbiarci, del pensare che sia fruttuoso sgridare e punire…

Servono operatori formati con amore, innamorati del compito di formare a loro volta familiari disperati e senza forze.

In questo sfondo di complessità e a volte di colpevole sottovalutazione, Elena Sodano lavora da anni per costruire ponti, non certo a scavare fossati tra “noi e loro”, i medici e i non-medici, ponti di comprensione e di comunicazione ancora possibile in una rete composta da onesti artigiani della salute. Si è impegnata sull’armonia spontanea ed emozionale affinché, come scrive, la terapia TECI, che ha elaborato nel tempo e sperimentata per anni, possa funzionare su “questi corpi lenti, corpi persi, corpi vuoti, corpi silenziosi che nel momento della diagnosi non vengono più tenuti in considerazione, come se diventassero evanescenti perché la malattia all’improvviso stacca ogni contatto fisico, emozionale, affettivo tenendo in considerazione solo lo studio e la somministrazione farmacologica di molecole che servono a sedare le condotte corporee imposte da un cervello che piano piano si deteriora”.

Elena combatte con rigore e compassione contro “il non fare nulla” che consegna i nostri anziani fragili o malati alla noia mortale, alla insignificanza, all’eutanasia silenziosa. Pur nella sua originalità di intervento professionale per la quale dovrei etichettarla come una professionista che “canta fuori dal coro”, in realtà Elena canta da sempre nel nostro coro di operatori della salute che non si arrendono alla comodità dell’ageismo (tanto è vecchio…), del nichilismo (non c’è niente da fare…), del fatalismo (è scritto così, è destino…).

Il suo stile di lavoro e le tecniche sperimentate le permettono attraverso la musica di educare le persone vulnerabili alla scansione del tempo, persino del respiro comune e dell’affiatamento, del rispetto dell’armonia, promuovendo il “risveglio della memoria corporea… un secondo linguaggio a disposizione del terapeuta per capire attraverso il corpo quello che il paziente non riesce più ad esprimere con il linguaggio”.

La musica diviene mezzo pacifico di contenimento naturale “grazie alla quale anche un disturbo del comportamento può trasformarsi in una danza” poiché le principali malattie neurodegenerative non intaccano, se non nelle fasi terminali del processo, quelle aree del cervello dove sono custodite le emozioni, la memoria antica che ci lega alla voce della mamma, al cullare della ninna nanna, alle dolci nenie che ci facevano addormentare, a certi profumi, infine al ricordo di quella casa natia dove certamente si è stati amati come forse mai più dopo. Si, proprio quella casa che nelle forme avanzate di demenza viene invocata da milioni di persone come una straziante litania che nasce da un desiderio impossibile di ritorno.

Occupandosi “a modo suo” delle persone fragili e malate, Elena e lo splendido gruppo di persone che collaborano da tempo con lei toccano finalmente il loro corpo!

E permettono alle persone di giocare.

Niente è più serio del gioco. Nei cuccioli di tutte le specie il gioco è uno strumento di conoscenza del mondo, il mezzo attraverso il quale si apprendono i propri limiti, si impara a dosare le forze e a relazionarsi con l’altro e con l’ambiente. Il gioco, come il gesto artistico, è sempre un atto di libertà, che non si comanda e non si può imporre, è disinteressato.

E giocare, per citare Umberto Eco, è “uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano”.

Ferdinando Schiavo

Pubblicato in Presentazioni, Varie |

La complessità è spesso la regola quando si parla di anziani

Pubblicato su 1 Marzo 2019 di Ferdinando Schiavo

01Anche la salute non sembra evitare il disimpegno del presente momento storico internazionale, Italia compresa: si sfugge alla cultura e a ciò che è complicato preferendo soluzioni semplicistiche e semplificatorie o praticando in silenzio l’omissione. Ma il mondo della medicina e della chirurgia non può né deve sfuggire al compito primario, al prendersi cura delle Persone con aspetti complessi della loro salute, gli anziani in particolare.

Da qualche anno faccio incetta delle esperienze interessanti di altri e sto riflettendo amaramente sulle mie personali. Nei mesi scorsi sono accaduti dei fatti.

Ora provo a riordinare le idee e raccontarveli, tentando di giungere a una conclusione utile a tutti.

In gennaio ho patito le pene dell’influenza, a due tempi e con una coda di stanchezza, tosse, abulia che mi ha impedito di lavorare per almeno 20 giorni.

Cosa è successo? Tre anziane sui cinque nuovi pazienti che attendevano una mia visita domiciliare sono state ricoverate nell’attesa della mia valutazione e tutte per motivi sostanzialmente poco attinenti alla mia consulenza (anche se ho una visione globale di ogni caso clinico): si trattava di scompenso cardiaco, febbre, sincope.

Il ricovero in attesa della mia visita domiciliare, o addirittura la morte, non sono un fenomeno nuovo, era accaduto anche in passato… ma non con il rapporto di 3 su 5.

Mi sono chiesto: e se avessi effettuato la visita, cosa sarebbe cambiato visto che, attraverso le informazioni telefoniche che ho voluto chiedere ai familiari, le complicazioni erano “internistiche” e non strettamente neurologiche? E se avessi cambiato qualcosa della preesistente terapia e il giorno dopo quell’anziana fosse svenuta (anche se non a causa del mio cambiamento farmacologico)? Cosa avrebbero pensato i familiari? Come mi sarei sentito io?

Questi pensieri non mi inducono certamente a demordere nell’occuparmi di casi clinici (e umani) complessi.

Nel contempo in questi mesi ho ricevuto dei messaggi e telefonate che cominciavano pressappoco così: “Buongiorno dottore, visto che lei è contro i farmaci…”

“Non sono CONTRO i farmaci – ho risposto in copia-incolla – ma contro l’uso inappropriato dei farmaci. Qualsiasi imbecille – si, divento pesantemente sarcastico – può enunciare idee e schierarsi tutto da una parte o dall’altra, ma spetta al severo professionista sapere, studiare, sperimentare, decidere quanto, per quanto tempo, a chi, come dare un farmaco.  Costui è costretto a conoscere, e questo è solo un piccolo esempio, le centinaia di farmaci che hanno un’azione anticolinergica, ovvero contro un neurotrasmettitore essenziale, tra l’altro, per i processi di memoria, sostanze che possono scatenare persino uno stato confusionale (Delirium) anche grave in un anziano fragile. E ben altro ancora.

La competenza, oggi, sta diventando quasi un demerito…

Nel frattempo sono accadute altre cose. Le elenco:

  1. Gli errori in campo medico, gli avvocati e i media

Dicembre 2018. Polemiche per lo spot TV di Enrica Bonaccorti sulle vittime di malasanità.

E’ la seconda volta che accade. In quella passata, un ricordo di pochi anni fa, ci furono dei titoloni contro gli avvocati definiti avvoltoi.

Lo spot recente è stato sospeso da RAI e Mediaset ma si può ancora vedere, credo su La7.

Riflettendo amaramente su alcune mie disastrose esperienze sul campo – vedi anche il “Progetto La strage delle innocenti” su www.ferdinandoschiavo.it – mi sono chiesto: ma non poteva essere questa una buona occasione per parlare, in maniera costruttiva e senza il velo dell’ipocrisia, della realtà degli errori medici – in ospedale, in RSA e a casa! – invece di assistere all’ennesimo spettacolo degli ordini dei medici, e non solo, scatenati contro spot simili, pur se discutibili?
Nel mondo degli anziani non posso che confermare con la mia esperienza sul campo quanto dice la bibbia dei geriatri, ovvero i Criteri di Beers ma anche le ricerche di altre valide istituzioni, tra cui Cittadinanza Attiva, il Mario Negri, l’Associazione Italiana di Psicogeriatria: è ancora alto il numero delle prescrizioni farmacologiche inappropriate e non tutti i medici hanno compreso la complessità della fragilità dell’anziano, che é un essere ben diverso da un cinquantenne.

Nel corso di questa seconda battaglia mediatica scatenata dalla pubblicità non ho voluto firmare un documento inviato da Consulcesi (Stop all’odio verso i medici. Contro chi promette facili risarcimenti chiediamo un Tribunale della Salute. Firma la petizione http://chng.it/N8xyF5VwG5) almeno fino a quando non si parlerà senza ipocrisia della “banalità del male” ovvero delle le malattie da errore dettato da negligenza o imperizia o imprudenza di tipo “medico”, e non solo di quelle in area chirurgica (le sole che invece fanno notizia, nel bene e nel male!), perché esistono, persistono e probabilmente sono in aumento in particolare a carico dei soggetti più vulnerabili, le anziane, in progressivo aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione e per altre ragioni: il miglior tasso di sopravvivenza delle donne espone queste ultime, rispetto agli uomini:

  • ad un livello di fragilità più esteso e severo negli ultimi decenni di vita in parte a causa dei cinque “anni guadagnati”
  • ad un più elevato consumo di farmaci …
  • a cui rispondono in maniera differente
  • … e soffrendo peraltro in maggior misura di eventi avversi legati proprio al loro uso.
  1. La complessità chirurgica. Cesare Faldini è il giovane e brillante direttore della Clinica Ortopedica 1 al Rizzoli di Bologna ed ha scritto un chiaro, onesto, condivisibile e stimolante articolo sul Corriere Salute del 10 febbraio 2019 dal titolo “Il prezzo delle cause pagato dai pazienti”.

Entrare in sala operatoria è il mio lavoro, e me lo sono scelto. Mi sono anche scelto il tipo di chirurgia: le grandi deformità ortopediche ed i casi ad alta complessità, rinunciando alla tranquillità degli interventi routinari… significa studiare ogni singolo paziente senza potersi affidare alla casistica di migliaia di casi simili… spesso la grande complessità è rara, quindi la soluzione va scelta affidandosi all’esperienza e al buon senso. Creare diffidenza nei confronti del medico non fa che danneggiare il paziente, perché innesca un pericoloso circolo vizioso dove gli interventi a rischio verranno sempre più scansati dai medici… Chi spiegherà al malato che una complicanza che incide normalmente nel 5 per cento dei casi operati, come avviene nelle gravi scoliosi… non è un errore medico ma un’evenienza inevitabile? A paziente che firma il consenso sembra un rischio basso, ma nel nostro reparto 5 per cento significa 100 pazienti su duemila in un anno di lavoro… L’insuccesso in chirurgia fa parte del gioco… Complicanza ed errore sono due evenienze ben diverse… Promuovere azioni legali contro gli insuccessi della chirurgia non farà altro che aumentare la paura e l’astensionismo da parte dei medici, e i pazienti ci rimetteranno…

  1. A proposito di denunce. Sono 300 mila in Italia le cause contro medici e strutture sanitarie private e pubbliche. Trentacinque mila nuove azioni legali ogni anno. Ma secondo i dati più aggiornati (Tribunale del malato (2015) e Commissione Parlamentare d’ inchiesta sugli errori sanitari, del 2013) il 95% dei procedimenti per lesioni personali colpose si conclude con un proscioglimento. I numeri sono stati esposti  al ministero della Salute da Consulcesi, network legale in ambito sanitario. Le aree maggiormente a rischio contenzioso sono quella chirurgica (45,1% dei casi), materno-infantile (13,8%) e medica (12,1%).

Una apparente banalità manichea: esistono errori in campo strettamente medico ed altri in area chirurgica. Certi successi in sala operatoria, “fanno scena”, sono mediatici, solleticano l’aria di sensazionalismo che oggi (più che in passato) piace tanto. Gli errori chirurgici, tuttavia, hanno più spesso code legali, mentre quelli più sotterranei, a livello “medico” no.

Rimangono inascoltati, coperti dal nulla. E quando tutto va bene a livello “medico” la gioia resta murata tra i volti contenti e a volte stupiti dei familiari. Il pudore – per fortuna ancora resiste in questa epoca sguaiata – ne isola i contorni, lo rende finalmente privato, come deve essere.

  1. La complessità “medica”. Nasce il medico della complessità: un paziente su tre ha più malattie. Da DottNet. “Le malattie croniche rappresentano il 60% di tutte le patologie e la loro prevalenza aumenta con l’età. Dal diabete all’asma, dallo scompenso cardiaco all’Alzheimer (e le altre demenze?), in Italia un paziente su 3 ha più di una malattia cronica, e si arriva fino a due su tre se si considera la popolazione più anziana. Gestire queste condizioni è tra le principali sfide della sanità e per farlo è stata creata una figura professionale ad hoc, il “medico della complessità”. Questi i temi al centro dell’incontro “Il paziente complesso, un nuovo protagonista sullo scenario della salute”, che si è svolto a Roma, con il supporto incondizionato di Alfasigma. Le malattie croniche rappresentano il 60% di tutte le patologie e la loro prevalenza aumenta con l’età. Spesso però tendono a convivere tra loro. Al punto che il 10% della popolazione sopra i 65 anni ha almeno tre condizioni croniche, che richiedono più farmaci, più medici e maggiori costi. “Quando individuiamo una persona sofferente si tende a etichettarla con la sua malattia principale. Ma in realtà, soprattutto negli anziani, se ne hanno 4, 5 o anche 6. E vanno curate tutte”.

Finalmente ci si è accorti della complessità in area medica!

  1. Demenze maltrattate sotto il profilo farmacologico. Ha avuto una certa rilevanza mediatica in questi giorni. Meglio parlarne, certo… ma mi sembra la scoperta dell’acqua calda, come avviene spesso in questo e in altri campi della medicina.

Ad ogni modo è confortante sapere che finalmente sempre più colleghi cominciano a interessarsi del serio problema della “malattie da farmaci”. Da incoraggiare.

Da DottNet. I malati di demenza sono curati in modo frammentato, in assenza di una pianificazione condivisa con operatori e familiari. Il che si traduce in ripetute ospedalizzazioni, utilizzo di farmaci inappropriati, indagini diagnostiche e trattamenti invasivi. Condizioni che non prolungano la sopravvivenza, mentre contribuiscono ad aumentare stress e sofferenza”. Lo spiega la geriatra Claudia Cantini, in forze all’ ospedale di Pistoia, che aggiunge come anche secondo vari lavori scientifici internazionali almeno 4 pazienti su 10 sono sedati di continuo o trattati con farmaci di dubbia utilità, se non dannosi. Cantini affida le sue esperienze a una relazione che presenterà al Congresso nazionale sui Centri diurni Alzheimer, decimo della serie, organizzato a Montecatini Terme (1-2 marzo) dall’ Unità di Medicina dell’ invecchiamento dell’ università di Firenze.

Siamo vicini alla Giornata Mondiale contro il Delirium e desidero concludere la mia riflessione con uno dei tanti casi in cui non capisci se un paziente “è così per evoluzione biologica, naturale, di quella malattia… oppure c’entrano altre condizioni magari reversibili o i farmaci?”

E’ una domanda che tutti dovrebbero porsi quando accolgono una Persona nuova in struttura, in ospedale, o la visitano a casa, in ambulatorio.

Il caso della “mummificata” descritto sul mio Malati per forza, Caso 29, è un tragitto di sofferenza durato 5 anni ma coronato dal ritorno ad una vita normale, ad una “guarigione”, a soli 56 anni. E’ il più bello della mia vita, ma non è l’unico per fortuna.

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Un caso recentissimo, esemplificativo, tanto per non andare lontano. Sono entrato in Residenza accompagnato dai familiari di un signore di 82 anni, ospite da mesi confuso, agitato, aggressivo, oppositivo, oramai immobilizzato tra letto (odiato) e poltrona.

Aveva avuto qualche ricovero recente per fatti febbrili polmonari e cardiaci, ma non rilevanti.

La storia clinica appariva persa, smarrita, insignificante per gli altri. Sembrava che quel giorno tutti, familiari compresi e personale sanitario della struttura, avessero un’unica priorità: sedarlo, soprattutto la notte, un desiderio comprensibile che, però, non li giustificava.

E la storia clinica?

Con qualche (mia) fatica e insistenza (l’amato e sgualcito tenente Colombo che è in me!) e non supportato da documenti clinici, sono venuto a sapere che 4 anni prima era entrato in ospedale cognitivamente e fisicamente a posto per sottoporsi ad un intervento chirurgico minore che però aveva avuto qualche complicazione, per cui era stata necessaria una prolungata anestesia. Da quel momento la vita dell’uomo era radicalmente cambiata: il suo Delirium post-operatorio aveva giustificato l’uso di antipsicotici di vario tipo, si era abbastanza velocemente e di conseguenza “parkinsonizzato”. Lentezza dei movimenti nella deambulazione, passi piccoli e frequenti, incertezza nel mantenimento dell’equilibrio, qualche caduta.

Un neurologo, suppongo, aveva consigliato farmaci dopaminergici, ovvero attivi nell’incentivare la dopamina cerebrale (ad es. Sinemet, Madopar, Sirio, Jumex, ecc.) ma terribili – in questo caso – nell’incrementare anche le allucinazioni preesistenti e connesse al Delirium. Ovviamente, per curare allucinazioni e agitazione fu aumentata la dose di antipsicotici, la Quetiapina in questo caso, la più amata dagli italiani.

Da allora assumeva ambedue, il diavolo (il Sinemet) e l’acqua santa (la Quetiapina).

Tuttavia, alla mia specifica domanda di quel giorno, i familiari avevano risposto che né il Sinemet aveva procurato miglioramenti motori né la Quetiapina a dosi abbastanza alte per età e peso quelli comportamentali.

Ma avevano continuato così; anzi, erano stati aggiunti altri psicofarmaci!

In questi casi ho imparato a rispondere alla domanda cruciale dei familiari (“Che ne dice? potrà migliorare?”) rivolgendo io a loro una domanda secca: “Ma come avete fatto ad arrivare a 4 psicofarmaci senza provare con uno alla volta, vedere se “funziona” e magari ridurlo e poi sospenderlo se non tollerato o inefficace a vantaggio di un altro da provare? Perché avete mantenuto in terapia un farmaco che non aveva promosso miglioramenti, anzi aveva ancora di più confuso, parkinsonizzato e reso acatisico il povero anziano e, per di più, ne avete aggiunti altri tre?”

(Per l’acatisia, temibile, inesplorata, sottovalutata, sconosciuta complicazione dell’uso di vari farmaci rimando ad un mio articolo su questo sito).

E ancora: chi ha dato questa benzina inadatta, la L-DOPA contenuta nel Sinemet, in presenza di un parkinsonismo prevalentemente da farmaci e di aspetti motori atipici? Si chiama parkinsonismo degli arti inferiori, Lower Parkinsonism, ed ha caratteristiche diverse dalla vera malattia di Parkinson, la sola “autorizzata” a rispondere con ottimi miglioramenti motori, almeno nelle fasi iniziali della terapia, a quel carburante, a quel neurotrasmettitore cerebrale che arriva dalla L-DOPA!

Chi ha continuato ad aumentare il dosaggio della più amata dagli italiani (la Quetiapina) malgrado sin dalle dosi iniziali il paziente non avesse risposto? Anzi…

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Che fatica per noi clinici pignoli!

In conclusione, è un Delirium “autoalimentato” dai farmaci che dura da quattro anni sovrapposto a demenza?

In queste settimane mi aspetta un lavoro da certosino e non certo da rivoluzionario (togliamo tutto!).

Il caso descritto fa parte di un’esperienza sempre più frequente, tornerò a raccontandovene altri se non vi sconvolge la complessità.

Credo che il mio Malati per forza sia tra i pochi o forse l’unico libro che stigmatizzi l’uso improprio dei farmaci dopaminergici nei casi di parkinsonismo. Mi tocca aprirlo spesso a pagina 129 (Quando la MP diventa “altro”: le perplessità nella terapia farmacologica) e mostrarlo a familiari stravolti da queste nuove informazioni, increduli di tanta sofferenza, circoli viziosi e peggioramenti in fondo ingiustificati. E mi spetta certamente il compito di dare una risposta – ci deve essere umanità, voglia e tempo a disposizione da dedicare – alla loro classica domanda: ”ma non c’è niente da fare per farlo camminare?”. No, non c’è niente, se le esperienze precedenti sono state negative e persino peggiorative.

Quelli che rispondono bene alla L-DOPA:  a volte basta un breve periodo test con uno di questi dopaminergici. Si può osservare persino dopo la prima compressa se il paziente migliora a livello motorio. Sono i “veri” parkinsoniani, almeno fino alla prova contraria di una diversa evoluzione.

Bisogna spiegarlo con semplicità e tenacia ai familiari di coloro non rispondono.

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A questo punto mi sono chiesto: ma i formatori, ovvero, i medici, sanno, ad esempio, che qualche compressa di Buscopan in pochi giorni, unitamente ai farmaci che già un’anziana assume, può accrescere il suo “carico anticolinergico” e quindi scatenare un Delirium dall’esito terrificante, anche mortale? Conoscono il Delirium e il “carico anticolinergico” delle centinaia di farmaci, di cui tanti di uso frequente, che hanno questa azione più o meno potente su un neurotrasmettitore così fondamentale?

Sanno, i formatori, che 3 Plasil al giorno per qualche settimana sono in grado di rendere un’anziana impassibile e lenta nei movimenti (insomma, parkinsonizzata!) a causa del carico antidopaminergico di questo e di numerosi altri farmaci che agiscono su un altro neurotrasmettitore, la dopamina?

Sono piccoli esempi della mia e vostra inquietudine, espressione di una realtà, quella degli anziani e soprattutto delle anziane, estremamente complessa in un mondo che non ama la complessità ma le scorciatoie.

Riflessioni spicciole. Tra gli specialisti, gli oculisti chiedono ai loro pazienti se assumono farmaci anticolinergici visto che possono innalzare la pressione oculare (vedi glaucoma)? E lo fanno gli urologi, in considerazione del fatto che alcuni farmaci possono incidere sulle funzioni sfinteriche?

Infine, i medici formatori, sicuramente strutturati in ambito ospedaliero o universitario posseggono esperienza e una “visione extra ospedaliera” della complessità?

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E sì, perché il mondo là fuori è diverso: lo so da ex ospedaliero, da ex specialista di un distretto, da ex medico condotto, da ex volontario in ospedale e infine da libero professionista, de-formatore di colleghi (poco presenti e curiosi sull’argomento) e di altri professionisti socio-sanitari, autore ed unico esecutore di un faticoso progetto di supervisione di anziani in residenze, mai pubblicato su riviste scientifiche (La strage delle innocenti è su www.alzheimerudine.it e su www.ferdinandoschiavo.it). Non devo “far carriera”, va bene così.

Noi pensionati vispi e attivi non contiamo nulla, e tuttavia siamo l’espressione ancora vivente, ribelle e resistente per fortuna, a questa voglia di nuovo, di usa e getta, di informazioni e conoscenze da chiedere al sacro internet e non più a chi ha i capelli bianchi.

Oggi, chi è competente nella complessità?

Nel 1999, ad un convegno, un direttore di cattedra di neurologia dichiarò in pubblico, seppur amabilmente, che esageravo nel dichiarare l’esistenza della complessità nel campo delle demenze in quanto mostravo nel mio modello accanto ai sintomi cognitivi e comportamentali anche quelli motori (di tipo parkinsoniano, non sempre assenti) e quelli vegetativi e sensoriali (poco considerati e quasi sempre presenti, almeno alcuni, nel corso dell’evoluzione – e a volte anche prima della comparsa dei sintomi cognitivi – nei vari tipi di demenza: perdita dell’odorato, stitichezza, ipotensione ortostatica, dimagrimento, scelta dei cibi e modifiche del gusto, senso del caldo e freddo, controllo degli sfinteri, anomalie dell’architettura del sonno, ecc.).

Quello schema oggi compie 20 anni ed è in fondo ancora più complesso, se consideriamo il resto!!!

09-10

Visti i tempi e la decadenza del senso di responsabilità, desidero lasciarvi con uno scritto di Michele Serra apparso qualche settimana fa su l’Espresso.

Il CRETINO, nella magistrale lettura di Fruttero & Lucentini, non è banalmente la persona stupida. E’ prima di tutto l’incosciente. E’ colui che si sente responsabile di nulla, a partire da ciò che fa e ciò che dice, perché la colpa è comunque degli altri. Un collezionista di pretesti, un mai cresciuto, un bimbominkia ampiamente over-trenta. Incosciente e lagnoso, impreparato alle delusioni e alle sconfitte, incapace di farsi carico delle proprie disgrazie “senza dare colpa all’epoca e alla storia” (Gaber).

Una corolla di alibi circonda il suo ego, lo protegge da se stesso, da quella durissima prova che é la cognizione dei propri limiti.

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Università degli Studi della terza età: programmazione 2017/18

Pubblicato su 12 Dicembre 2017 di Ferdinando Schiavo

UNIVERSITA’ DELLA TERZA ETA’

Programmazione 2017/2018

UTE San Stino di Livenza

Il 6 dicembre 2017 ore 15-17

Cinema e demenze. l’arte e la cura. Un viaggio attraverso l’arte del cinema nel territorio delle demenze tra falsi miti ed errori, oltre i luoghi comuni.

UTE Portogruaro

Il 13 dicembre 2017 ora 15-17

Cinema e demenze. l’arte e la cura. Un viaggio attraverso l’arte del cinema nel territorio delle demenze tra falsi miti ed errori, oltre i luoghi comuni.

UTE Udine

Corso: Invecchiamento della popolazione e “nuove” malattie neurogeriatriche.

Dal 7 febbraio 2018 in poi.

Lectio magistralis: Prima che sia Alzheimer! Contro le demenze con stile… di vita.

20 febbraio 2018

UTE Cividale

  1. Corso: ogni mercoledì ore 16.00-17.00 dal 21 febbraio al 14 marzo 2018 (aula magna). Tema: Invecchiamento della popolazione e “nuove” malattie neurogeriatriche
  2. Lectio magistralis: 21 marzo 2018, ore 16.00 (aula magna). Tema: Prima che sia Alzheimer! Contro le demenze con stile… di vita.
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14-15-16 ottobre 2017 – Catanzaro, Corpo, mente, cervello, emozioni: la relazione oltre i “falsi” miti delle demenze

Pubblicato su 9 Settembre 2017 di Ferdinando Schiavo

CORPO, MENTE, CERVELLO, EMOZIONI: LA RELAZIONE OLTRE I “FALSI” MITI DELLE DEMENZE

14-15-16 ottobre 2017 a Catanzaro, presso la Sala Convegni dell’Hotel Guglielmo

Domenica 15 ottobre 2017 alle ore 12.30 interverrà in qualità di relatore il dott. Ferdinando Schiavo, neurologo

Il Convegno è a numero chiuso. Per iscrizioni contattare la Segreteria organizzativa al numero 0961/744565 o al fax 0961/709250

Clicca qui per scaricare il programma completo del convegno

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I miei interventi come relatore

  • 28 marzo 2025 – Castelfranco Veneto – Demenze & Cittadini
  • 20 marzo 2025 – Webinar – Demenze giovanili: riconoscerle per comprenderle
  • 8 marzo 2025 – Bologna – Una casa a misura di donna
  • 6 marzo 2025 – Buttrio – Alimentiamoci di benessere
  • 28 novembre 2024 – Bologna – Stimolazione cognitiva e fisica nella cura della demenza: sinergie tra sanità e sociale
  • 26 ottobre 2024 – Cividale del Friuli – Anziani, prevenzione alla fragilità
Visualizza tutti gli interventi

WEBINAR E INTERVISTE DOTT. FERDINANDO SCHIAVO

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