Da un imprenditore superattivo come lui non se lo sarebbero aspettato né i familiari né gli amici. Donato F. a 78 anni era diventato “depresso” nello spazio di un anno. Non andava più a dare una mano all’azienda affidata da qualche anno alle sapienti e scrupolose mani del figlio, rinviava le occasioni di spazi sociali che aveva coltivato con costanza e impegno, rubando volentieri tempo al suo amato lavoro.
Il suo medico e poi un geriatra gli avevano consigliato degli antidepressivi, ne aveva provati in successione almeno quattro, ma senza ottenere alcun miglioramento. Anzi, era diventato esageratamente tranquillo e sereno, con qualche problema nel programmare la giornata e nei banali, consueti lavoretti nel giardino che lo avevano sempre appassionato.
– Anche lei mi conferma quanto mi ha appena detto sua moglie? Che da un anno ha cominciato a non essere più quello di prima?
– Devo riconoscere che qualcosa è cambiato, ma non molto…
– Che sensazioni avverte? Tristezza, senso di inutilità, paura per il futuro, angoscia al mattino all’idea della lunga giornata da affrontare, ansia per le piccole e grandi cose, o magari percepisce negli altri sguardi di commiserazione?
– No, niente di tutto ciò: non ho voglia e basta, ero e resto sereno. Adesso mi sento anche un po’ stanco, ma in fondo vivo bene. Sono preoccupati invece i miei familiari! Esagerati! Non volevo neanche venire, è un anno che vado da medici e non sono abituato, E poi, non ho nulla io!
– Proverei a ridurre intanto l’antidepressivo a metà dose e vorrei che facesse un esame del sangue e una risonanza magnetica cerebrale (RM). Poi deciderò se fare poco altro e la lascerò in pace! Tutti qui vogliamo che lei stia meglio.
Insomma, era un apatico e non un depresso. Ed era apparentemente peggiorato con gli antidepressivi (tutti di tipo serotoninergico, gli SSRI, farmaci che curano la depressione attraverso un aumento della serotonina cerebrale, conosciuta tra l’altro come mediatore della felicità).
Un test cognitivo veloce, il classico Mini-Mental (MMSE), rivelava una certa lentezza e qualche difficoltà nell’ambito dei processi attentivi e di memoria. Sulla base dei “numeri” era nei cosiddetti limiti della norma, ma lo “stile” nell’affrontare alcune domande avevano impressionato me ed i familiari presenti (che mi avevano fornito una preziosa testimonianza di come si comportasse Donato fino a pochi anni prima).
In questi casi è utile far eseguire un esame di immagine come la TC o la RM cerebrale allo scopo di eliminare il sospetto di “sorprese” (tumori frontali ecc.) e degli esami del sangue con la stessa finalità: escludere anomalie del funzionamento della tiroide e delle paratiroidi, un abbassamento dei livelli del sodio, peraltro possibile con questi farmaci, un aumento degli indici infiammatori, anemia, ecc.).
Alla risposta sostanzialmente negativa degli esami umorali e della RM, ho consigliato una rivalutazione neuropsicologica di tipo estensivo che confermò la esistenza di alterazioni dell’attenzione selettiva, perseverazioni e anomalie di programmazione, iniziale riduzione della memoria verbale: un quadro cognitivo prevalentemente “frontale” che si sposava alla perfezione all’apatia rendendo suggestivo il sospetto di possibile iniziale demenza di Alzheimer “a impronta frontale”.
L’apatia, senza dubbio, era peggiorata con gli antidepressivi.
Comportamenti apatici e depressivi sono spesso associati in psichiatria. Tuttavia, l’apatia, quando è isolata, può essere erroneamente interpretata come depressione e questa approssimazione può avere delle ripercussioni pratiche, ovvero il peggioramento dell’apatia in seguito al trattamento con farmaci antidepressivi.
L’apatia è il più frequente disturbo comportamentale riscontrato nelle demenze. E’ una condizione caratterizzata dalla diminuzione o dall’assenza di qualsiasi reazione emotiva di fronte a situazioni o eventi, associata a inerzia fisica, assenza di spirito di iniziativa, riduzione dei comportamenti finalizzati per mancanza di motivazione, trascuratezza della persona, distacco verso l’ambiente, indifferenza e ritrosia nei confronti di eventuali nuove esperienze. L’incapacità di manifestare emozioni si ripercuote nella espressività vocale, facciale e gestuale che appaiono ridotte. L’apatia può comportare anche alterazione dell’attività sessuale e di quella nutrizionale. Si distingue dalla depressione in quanto, fra l’altro, il paziente apatico non prova disagio per la sua condizione e per l’assenza dei sintomi cardine tipici della depressione.
Come fare a capire se si tratta di apatia isolata ? La persona con apatia, alle domande tipo “perché non esce e non va più a giocare a carte al bar, o a pesca? Si sente angosciato, ansioso, inquieto, inutile, in colpa, senza prospettive per il futuro, ecc.?”, risponderà con un tranquillo no, magari accompagnato da un sereno sorriso.
Interpretare peraltro un comportamento apatico isolato in modo inesatto può comportare un errore terapeutico. E’ un dato ancora abbastanza oscuro a gran parte della classe medica: l’apatico “puro” quasi sempre non trae alcun beneficio da una terapia con antidepressivi, soprattutto gli usatissimi SSRI, farmaci che possono invece provocare astenia, sonnolenza, l’accentuazione dell’apatia stessa e dei deficit cognitivi spesso associati.
Un altro dato interessante: un quadro di depressione, o comunque un cambiamento dell’umore, associato o no ad apatia, quando compare in un anziano (o non anziano: le malattie neurodegenerative o molte patologie cerebrali possono presentarsi anche in soggetti di 50 – 60 anni o più giovani ancora!), soprattutto se privo di una apparente causa che lo giustifichi, deve far sospettare la possibilità di una coesistenza o di uno sviluppo successivo, nello spazio di mesi o di pochi anni, di una patologia neurodegenerativa come una demenza (alzheimeriana o di altro tipo) o la malattia di Parkinson, oppure è la spia di un danno vascolare cerebrale “cronico”, spesso sub-clinico, ovvero non chiaramente manifesto.
Chiesi un incontro alla moglie e al figlio, dando ampie spiegazioni sul sospetto che si trattasse verosimilmente di una forma iniziale di demenza alzheimeriana. Era dura da accettare una diagnosi di demenza da parte dei familiari; la demenza, anzi, le demenze sono realtà che vengono accolte comprensibilmente con un misto di sorpresa e di spaesamento, soprattutto quando non sono presenti i classici disturbi di memoria per i fatti recenti a cui il modello di tipo alzheimeriano ci ha abituati. Tuttavia, impiegando bene informazione, empatia e conoscenze il medico è nella condizione di enunciare i suoi sospetti e ricevere la collaborazione dei familiari.
– Mi sembra un po’ migliorato rispetto a venti giorni fa con la precedente riduzione.
– Anche a noi sembra così.
– Proverei con dei farmaci che agiscono, se Donato risponderà positivamente (paziente responder), incrementando l’acetilcolina cerebrale. Cioè: cambiamo benzina! Non serotonina ma acetilcolina. Questa categoria di farmaci, gli inibitori delle colinesterasi (I-ChE), possono migliorare il quadro cognitivo ed anche alcuni aspetti comportamentali (l’apatia in particolare) in un paziente su tre o quattro. Lo so, non è una grande prospettiva, ma a mio parere va provata.
– Va bene proviamo, risposero abbastanza convinti. Ci spieghi come dobbiamo fare.
– Riducete l’antidepressivo ulteriormente fino alla sospensione nello spazio di dieci giorni.
Il farmaco migliorò gli aspetti cognitivi ed anche quelli apatici (paziente responder agli I-ChE). Ovviamente, anche la sospensione dell’antidepressivo serotoninergico aveva fatto la sua parte.
Testo tratto dal Caso clinico 22 in Ferdinando Schiavo. Malati per forza: gli anziani fragili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci. Maggioli Editore 2014. Pag. 141.
Molto interessante come argomento e anche la trattazione di questo caso specifico ha destato in me grande curiosità di saperne di più.Grazie,Dottore.